Il Meticcio, una forza ineluttabile
Meticcio. L’opportunità della differenza di Bruno Barba, uscito per Effequ, è un libro molto utile, che già in partenza dichiara di voler porre delle questioni, degli interrogativi: di voler aprire a piste di domanda il grande e dibattuto tema dell’immigrazione.
Sin dalle prime battute, in un capitolo di prologo che è un evidente manifesto per il meticciato, l’autore torna su concetti propri di una certa analisi del fenomeno migratorio e degli stereotipi costruiti, in Italia, negli ultimi decenni a mezzo stampa. La risposta è il meticciato, che viene esposto come «fatto apposta per mettere in discussione certezze e conformismi», per degradare le posizioni granitiche di una sovrabbondante retorica politica e per frantumarle con il suo processo evolutivo.
Barba ci mette in guardia circa l’uso che si fa comunemente delle definizioni antistoriche delle migrazioni e dei migranti, rintracciando in moventi economici e politici i fattori che sospingono milioni di esseri umani a lasciare il proprio Paese per andare altrove. Risulta subito evidente che l’approccio è quello più giusto perché rimette al centro dell’analisi argomenti totemici, intoccabili, come l’invasione, la paura, il terrore. L’autore cita statistiche, menziona intellettuali e giornalisti, a suffragio di una lettura complessa del meticciato come forza imponderabile e inarrestabile, contro la quale nulla possono i differenti razzismi in campo in Italia e nel mondo occidentale.
A favorire la negazione dell’ipotesi meticcia c’è la complessità dei sistemi di accoglienza, che vorrebbero essere un deterrente o un ammonimento, ma sono in verità l’anticamera di un’epocale perdita di tempo e di denaro; a maggior ragione quando i fattori di spinta (push) e quelli attrattivi (pull) si mescolano, svelando la fragilità della rigida distinzione tra richiedenti asilo e migranti cosiddetti economici e la necessità storica della mescolanza tra popolazioni.
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Barba ci informa puntualmente sulle nostre paure e debolezze culturali, offrendoci dati e constatazioni sulla condizione degli altri: i fondamentalisti islamici, per esempio, quando traccia una differenza anche anagrafica (vecchi contro giovani) tra Al Qaeda e Isis, o noi stessi italiani quando muoviamo guerra a quei migranti che, lo si voglia o no, saranno nel 2050 la nostra salvezza demografica.
Forse il capitolo più bello, più sensibile alla contemporaneità, è quello dedicato all’Africa: nel quale l’oscuro continente è, secondo Barba, un deposito di speranza e di disperazione, una specie di costante pietra di paragone per l’Europa e gli Usa. Capitolo al quale segue, per necessità, quello in cui si smontano le posticce etichette appiccicate addosso ai richiedenti asilo.
La trama della narrazione assume spesso i caratteri di una critica ragionata agli approcci culturalisti di un antirazzismo che antepone la ragione al riconoscimento dell’altro, che assolutizza il relativismo negandolo nei fatti, che costruisce dentro l’analisi della globalizzazione certezze infondate e discutibili. Dunque, la risposta agli eccessi di dibattito e alla negazione dell’altro non può che essere, secondo Barba, una rivoluzione meticcia: un terreno di confronto permanente sui diritti, dentro un quadro tracciato dall’universalità dei bisogni e delle possibili risposte agli stessi.
Barba definisce questa rivoluzione un «cosmopolitismo umanista», una forza rigeneratrice che sui tempi lunghi arriverà a rimettere l’umanità al centro del proprio esistere sulla terra, e la dissocia dall’esclusivismo particolaristico che esiste, per esempio, nella normativa italiana in fatto di immigrazione. In definitiva questo Meticcio di Bruno Barba è un saggio fiducioso, che propone un processo, più che una soluzione: individua una strada, più che un ostacolo. Suggerisce una sacrosanta rivoluzione.
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