“Il maggiore e Cher Ami”, i due eroi della Grande Guerra di Kathleen Rooney
Ad aprile 2021 è arrivata nelle librerie italiane la traduzione di Cristina Cigognini dell’ultimo romanzo di Kathleen Rooney: Cher Ami and Major Whittlesey, o Il maggiore e Cher Ami come hanno deciso di tradurlo le Quattro di 8TTO Edizioni. Un romanzo elegante sulla guerra e le sue conseguenze più profonde sul corpo e l’anima dei soldati in prima linea e contestualmente anche un romanzo che parla di identità e appartenenza.
Siamo in Francia nel 1918, è autunno e le truppe americane sono appena sbarcate sul Vecchio Continente per dare una mano ai francesi durante la Prima guerra mondiale. Cher Ami è un piccione viaggiatore inglese donato alla divisione Signal Corps dell’Esercito degli Stati Uniti d’America e poi destinato al 308° battaglione della 77a divisione alla cui guida c’è il maggiore Charles Whittlesey, avvocato di New York che ha sentito il dovere di arruolarsi per difendere la libertà e che ora si ritrova alla guida di soldati raccolti tra le fila di manovali e contadini, inesperti della guerra quanto lui e molti degli altri maggiori al comando: «Dagli scrittori: è così che la maggior parte di noi cittadini aveva imparato qualcosa sulla guerra prima che ne combattessimo una».
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Le forze americane si apprestano a combattere al fianco dei francesi durante l’offensiva della Mosa-Argonne, ogni battaglione ha degli ordini precisi da seguire ma solo il 308° riesce a rispettare i tempi dell’avanzata e questo decreta la sua fine. È il 3 ottobre quando il maggiore Whittlesey si ritrova bloccato e isolato con i suoi cinquecento uomini in una piccola depressione su un lato della collina dietro le linee nemiche senza cibo, munizioni e possibilità di ritirata. Il Battaglione perduto – come iniziano subito a chiamarlo i giornali – resiste oltre ogni previsione, anche quando si ritrova a perire sotto i colpi del fuoco amico a causa di un errore nelle coordinate e sembra che nessun messaggio riuscirà mai a raggiungere gli alleati. Ma poi è il turno di Cher Ami di spiccare il volo e lei ce la fa, nonostante i proiettili e le ferite percorre venticinque miglia in soli sessantacinque minuti e porta al quartier generale il messaggio: «Ci troviamo lungo la strada parallela alle coordinate 276,4. La nostra stessa artiglieria sta effettuando uno sbarramento proprio sopra di noi. Per l’amor di Dio, fermatevi».
Così, mentre le file amiche cessano il fuoco e si muovono per recuperare il Battaglione perduto, gli attacchi tedeschi continuano a fare vittime fisiche e mentali perché, come diceva Wellington, il tempo è tutto e «Nel nostro caso il tempo era tutto ciò che avevamo, mentre aspettavamo nei nostri piccoli spazi che arrivassero i rinforzi o che i tedeschi ci finissero. Due micce accese di lunghezza ignota». Finché, in fine, arrivano i rinforzi e i 194 sopravvissuti del 308° vengono soccorsi e portati in salvo.
Nasce qui la fama del maggior e Cher Ami, due eroi loro malgrado come tanti durante qualsiasi guerra costretti a imparare prima a vivere in trincea e poi a vivere da civili, diventati improvvisamente simboli e per questo, in un certo senso, spossessati della loro stessa storia. Una storia fatta di ferite e perdite con cui non si riesce a venire a patti: «Non riesco più a darle un senso, alla vita civile. Ricorda quando non la chiamavamo così? La chiamavamo solo vita».
E in mezzo a tutto questo senso di colpa per essere sopravvissuto, per aver avuto successo dove altri hanno fallito, per essere considerato un eroe quando hai portato a morire più della metà del tuo battaglione, c’è un’altra identità, quella più intima e personale, con cui convivere sapendo di non poterla mai mostrare, come non potevi mostrarla prima e come, nel caso di Cher Ami, per la maggior parte si sono rifiutati di vederla.
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Kathleen Rooney ha scritto un romanzo molto potente su una guerra che si pensava Grande e poi si è dimostrata quasi solo un assaggio, sull’amore per la vita e gli altri esseri viventi anche quando intorno c’è odore di putrefazione ed escrementi e sul senso di appartenenza anche quando ci si sente irrimediabilmente soli e perduti.
Il maggiore e Cher Ami è uno di quei libri da tenere sul comodino anche quando lo si è finito, per rileggere dei passaggi e stare ancora per un attimo in compagnia di due eroi dall’animo sensibile: «Volevo dirgli che capivo».
La prosa di Rooney è delicata ed elegante, nonostante non si rifiuti di addentrarsi nelle trincee e nei campi di addestramento, e collega la voce dei due protagonisti con un gioco di rimandi e ripetizioni che fanno sentire il lettore a casa, sicuro che anche attraversando un grande dolore avrà accanto un compagno, un amico.
«Ti saluto per sempre, o fratello, addio»
Per la prima foto, copyright: Museums Victoria su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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