“Il libro dell’amore proibito”. Intervista a Mario Desiati
«Prendi la gioia più grande, l’amore. L’amore è come l’edera, ha bisogno di muri per crescere».
È questa l’eredità più bella che nonna Comasia affida al nipote Francesco, detto Veleno, protagonista dell’ultimo romanzo di Mario Desiati, Il libro dell’amore proibito, edito da Mondadori.
Veleno e Donatella Telesca, alunno e professoressa, si amano di un amore proibito, che si nutre solo con la distanza. La professoressa di educazione tecnica, infatti, paga in carcere la pena per lo scandalo e Veleno vivrà in profonda solitudine nell’attesa di rivedere Donatella, da lui soprannominata Diotima, come la sacerdotessa del Simposio platonico.
Per Veleno, Diotima è tutto; Diotima è la salvezza e Veleno nutre una profonda devozione nei suoi confronti. Il desiderio di rivederla è l’unico motivo che rende viva la sua vita: «tra Donatella e me si è riprodotto qualcosa di immenso, di elevato, romantico e celeste. Solo una corrispondenza, ma quanto basta a ricordarmi che sono vivo».
Una Puglia assolata, dei muretti a secco e del mare, in una scrittura intensa che spesso si fa magicamente evocativa, come quando celebra le tradizioni, tenacemente conservate. Indimenticabile il racconto della vestizione e della scomposizione della Maria Vergine Addolorata. I due uomini incaricati di vestire la Madonna si dedicano a quel compito con totale abnegazione: «compiono i gesti con lentezza, immettono in ogni movimento una precisione che per loro è devozione». Veleno assiste da anni a questo rito: «sin dalla prima volta, quando ero un bambino, ho imparato che esistono amori impossibili, ma talmente grandi e innominabili che non si possono spiegare».
«Mi chiamano Veleno perché un mio avo avvelenò il padrone e diventò proprietario delle sue terre». Veleno era tra i protagonisti de Il paese delle spose infelici (Mondadori, 2008) ora ritorna, prima adolescente, poi “adulto”, ma solo biologicamente, perché nei comportamenti rimane sempre uguale a quando aveva tredici anni. Come mai?
Sì, Veleno è una maschera, e tornerà anche in altri libri. È un perenne adolescente, possiede un veleno che lo tiene lontano dall’età biologica, a trenta come a sessanta anni è sempre lo stesso.
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Leggendo il tuo romanzo, è bellissimo scoprire le verità che si celano dietro ogni nome e così una parola cessa di essere una parola per diventare qualcos’altro, di più importante, quasi di sacro. Così scrive Veleno: «La mia ossessione di cercare in ogni nome e soprannome la verità degli uomini è un segreto che decido di dividere solo con chi amo».
È un’ossessione che condivido con il protagonista, quella di cercare somiglianze del carattere di ogni persona nel nome che portano.
«Avevo scoperto Kafka, e una lezione dai suoi libri l’avevo subito imparata: la legge è spietata con i miserabili e i puri di cuore». Veleno, come te, ama Kafka, grande cantore dell’amore doloroso, come emerge nelle strazianti e straordinarie Lettere a Milena.
Kafka è l’inventore dell’amore a distanza, quello che lo ha cantato meglio di tutti, per Veleno rappresenta la stella polare.
Tutta la tua produzione è pervasa da un profondo senso di nostalgia per la tua terra: muretti a secco e mare sono il fil rouge di ogni racconto, di ogni amore che descrivi. Quanto ti manca la tua terra?
Le passioni si scaldano con la distanza, la distanza trasfigura la realtà e quell’amore diventa ancora più forte.
Con l’avvento dei social network, sicuramente Veleno e Diotima avrebbero avuto meno difficoltà ad incontrarsi. Cosa ne pensi del radicale cambiamento del rapporto tra alunni e professori nella scuola 2.0?
Sono cambiati tutti i rapporti, non solo quello tra alunni e docenti. Considero questo cambiamento positivo, l’unico rischio è l’uniformità.
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