Il legame malato tra un padre e sua figlia. “Mio assoluto amore” di Gabriel Tallent
Sempre più spesso è facile imbattersi in programmi tv preceduti da un' avvertenza che suona così: "per le immagini e gli argomenti trattati si sconsiglia la visione a un pubblico facilmente impressionabile". Avvertenze, bollini e range d'età sono ciò con cui la cultura dell'immagine seleziona il suo pubblico. Questo vale per i film, per le ormai popolarissime serie tv e per i videogiochi, ma niente del genere è mai stato fatto per la narrativa. Il massimo che può fare un lettore, per capire se un romanzo rientra "nelle sue corde", è leggere il retro di copertina, niente di più.
Ebbene, se il retro di copertina di Mio assoluto amore (Rizzoli, traduzione di Alberto Cristofori), del celebrato autore Gabriel Tallent, lascia trapelare un "si sconsiglia la lettura a un pubblico facilmente impressionabile", il contenuto del romanzo non fa che confermarlo.
Il narratore ci conduce in una storia perturbante, fatta di pochi e intensi personaggi dediti a "una vita violenta". Il primo di questi è Martin, che educa la figlia, Turtle, a una vita da far west, dove il fucile sempre in mano eun colpo sempre in canna non sono solo il riflesso di quella "cultura delle armi" che, ancora oggi, attanaglia l'America: sono il preludio di una vicenda tragica e disturbante.
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Sotto la guida di Martin, padre-padrone, Turtle impara cosa significhi avere fegato e resistere fino al limite estremo. Il fatto che a imporle questa resistenza coatta sia il padre, in vista di un'eccentrica «opera di fortificazione» contro il mondo e i suoi mali, stupisce non poco per la concezione che culturalmente abbiamo del genitore: un genitore è chi ci coccola e chi ci sgrida; ma in Mio assoluto amore, parafrasando il pensiero di Martin, diventa «chi ci fa del male per farci del bene», o almeno così dice.
Il male di cui stiamo parlando non sono meri rimbrotti. Si tratta infatti di un male psicologico e fisico che arriva ai coltelli, alla violenza carnale e pretende di giustificarsi con l'amore; tutto questo è Martin, il primo polo. Il secondo è Turtle: la figlia innamorata del padre, bloccata in un complesso di Elettra che tuttavia, violenza dopo violenza, inizia a vacillare e a farla dubitare. Restare o partire? Questo è l'interrogativo che perseguita la protagonista, stretta da un lato dall'amore morboso per il padre, dall'altro da una tensione emancipante sempre più forte.
Il desiderio di libertà porta Turle a tentare più fughe da quest'ingombrante figura d'autorità, in un susseguirsi di fallimenti di cui è responsabile in parte l'affetto malato che prova per il padre, in parte la sua debolezza rispetto al gigantismo di Martin.
Per armarsi contro questo "Golia" Turtle avrà bisogno di nuovi rapporti umani, che si concretano in due nuovi personaggi: Jacob e Cayenne. Il primo è un ragazzo buono e colto, conosciuto durante una delle sue fughe; la seconda è una bambina sottratta alla strada da Martin e allevata coi "suoi metodi". È attraverso l'immagine che questi due personaggi si sono costruiti di lei che Turtle/Julia riesce a sconfiggere Martin, non da sola.
Jacob è colui che la crede buona e generosa e che, attraverso questo semplice convicimento, spinge Turtle ad esserlo davvero. Non a caso, in uno dei tanti momenti di scoramento, si legge una frase di questo tenore: «vuole indietro Jacob Learner, vuole indietro la sua dignità». Qualcosa di affine accade anche per la piccola Cayenne, la prima persona che Turtle decide di tutelare diversamente da quanto ha fatto per se stessa:
«questa è una cosa di cui posso prendermi cura, e anche se non riuscissi a dimostrarle amore, potrei prendermi cura di lei, fino a qui posso farcela, forse. Io non sono come lui, io posso prendermi cura delle cose e posso prendermi cura anche di lei [...], forse posso salvare qualcosa semplicemente [...] prendendomi cura di questa stronza».
Come si evince dall'appellativo riservato a Cayenne, la sorellastra acquisita, Julia non la protegge per affetto, ma perché rivede in Cayenne se stessa: in altre parole, vuole evitarle i soprusi che nessuno ha evitato a lei.
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Essere all'altezza dell'idea che Jacob si è fatto di lei e proteggere Cayenne sono i due popositi che sollevano Turtle dalla sua auto-lesionistica inazione e la spingono a combattere contro il padre con quelle stesse armi che lui, ironia della sorte o tragica fatalità, le ha insegnato a usare. Così, di violenza in violenza, Turle diventa la macchina da guerra che Martin-Frankenstein ha creato e che si ribella non contro il mondo ma, come da tradizione (Frankenstein, Blade Runner), contro il suo creatore. Obiettivo: la libertà.
Per la prima foto, copyright: Arleen wiese.
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