Il laboratorio della morte. “Dammi la mano” di Megan Abbott
Inquietante fin dal titolo, questo Dammi la mano, romanzo di Megan Abbott uscito per Einaudi Stile Libero Big a ottobre 2019 (nella traduzione di Manuela Francescon, colei che ha tradotto, fra gli altri, i romanzi della saga dei Cazalet, per Fazi editore). Soprattutto alla luce del suo significato, dell’episodio a cui si riferisce.
Questo thriller psicologico si svolge per lo più nelle atmosfere claustrofobiche di un laboratorio di ricerca che si occupa del Ddpm, il disturbo disforico premestruale, un grave stato depressivo che colpisce il 3-8% delle donne con ciclo mestruale. La dottoressa Severin, direttrice del laboratorio, ha ricevuto dei finanziamenti per approfondire gli studi e sta per rivelare i nomi dei componenti del team di ricerca. Kit, che lavora a quel progetto da molto tempo, è certa che otterrà un posto nel team, ma la competizione è piuttosto feroce, soprattutto quando, dal nulla, spunta fuori il nome di una brillante ricercatrice, Diane Fleming, una vecchia conoscenza di Kit…
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Sarà perché i miei studi di biologia mi hanno fatto sentire coinvolta, oppure perché Abbott ha uno stile incalzante… Il fatto è che io, questo libro, l’ho letto in tre giorni. Non riuscivo proprio a staccarmene. Complice anche l’alternanza dei capitoli che raccontano il presente e il passato, andando a ricostruire le motivazioni delle protagoniste, i loro pensieri reconditi, il loro legame oscuro.
Ogni personaggio nasconde qualcosa; ognuno ha un segreto, dal più banale al più torbido. E questo mi ha aiutata a identificarmi con i vari protagonisti, perché Abbott è bravissima a tracciarne la psicologia in pochi tratti.
Il carattere più complesso, comunque, e più indicativo, è quello di Kit, di cui seguiamo la crescita, il cambiamento emotivo dai tempi del liceo (quando era una ragazzina con le idee poco chiare sul suo futuro) a quelli del successo (in cui è una donna decisa, concreta e guidata da un cinismo che lei stessa scopre in sé con stupore).
«Che cosa succede in noi quando qualcuno, un’altra persona, dà voce ai timori più riposti, meschini e inconfessabili che nutriamo sul conto di noi stessi? Ci sentiamo come privati della pelle, come se tutto quello che c’è sotto, l’intrico sanguinolento di vene e muscoli, fosse nudo ed esposto.»
Sì, perché al di là della trama thriller ben sviluppata, ciò che colpisce di Dammi la mano è la descrizione dei mutamenti del carattere che avvengono nei vari personaggi a seguito degli eventi. E trovo che questo sia molto realistico: crescere significa adattarsi e, perché no, anche modificare la propria visione della vita.
Certo, in questo romanzo, è tutto piuttosto drastico: sempre di un thriller si tratta. Ma l’autrice è bravissima a enfatizzare questo aspetto della vita senza esagerare.
Megan Abbott è laureata in letteratura inglese e ha insegnato alla State University di New York. Ha iniziato ad appassionarsi al crime dopo avere letto Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides. Nel 2005 ha esordito con Morire un po’, pubblicato in Italia nel 2009 da edizioni BD (per lo stesso editore è uscito nel 2010 anche Queenpin, che è valso ad Abbot l’Edgar Award).
I romanzi di questa autrice appartengono al genere thriller/crime, ma spaziano tra la fiction e la non-fiction: si è, infatti, ispirata anche a fatti realmente accaduti, come gli omicidi di Jean Spangler (1949) e di Winnie Ruth Judd (1931).
Scrive racconti ma, soprattutto, ha preso parte alla sceneggiatura della serie tv The Deuce – La via del porno: protagonisti James Franco e Maggie Gyllenhaal. Questa fiction, incentrata sulla nascita e lo sviluppo dell’industria pornografica fra anni Settanta e Ottanta, ha riscosso un notevole successo di pubblico e critica (in Italia, le tre stagioni della serie sono state trasmesse da Sky Atlantic).
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Tornando a questo ultimo thriller: come dicevo, i rapporti tra i vari personaggi sono molto significativi e ben tracciati; in particolare, quelli tra madri e figlie: se Kit ha relazioni sane in famiglia, tutt’altro accade a Diane, che si ritrova con una madre che è più una figlia e che, anche alla fine della storia, si confermerà elemento disturbante non solo per Diane, ma pure, inevitabilmente, per la sua amica/nemica.
Insomma, Dammi la mano di Megan Abbott è un page-turner di tutto rispetto, che io ho letto con piacere. Spero, con questa mia recensione, di avervi invogliato a leggerlo, perché è scritto molto bene e spicca sui tanti thriller psicologici del momento.
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