Il gioco del desiderio. “Il giro del mondo in 18 amori” di Marco Innocenti
Il giro del mondo in 18 amori è il nuovo lavoro di Marco Innocenti pubblicato da Avagliano editore, nella collana “I corimbi”. Diciotto racconti per diciotto luoghi sparsi per il mondo, da Pisa all’Avana, da Salvador a Genova, da Scandicci a Los Angeles, che hanno come denominatore comune l’amore, l’erotismo, la musica e i paesaggi.
Ma anche di scrittura si parla, del potere della scrittura: «Tanti anni fa, giovane e ingenuo, credevo che la scrittura avesse un potere assoluto», con riferimenti espliciti a uno dei maestri indiscussi della letteratura, John Fante, e con operazioni metatestuali, rinvii ad altri romanzi dello stesso autore. Interessante come, poi, nell’ultimo racconto (Varadero, Fine dell’illusione), un personaggio, l’amico e coinquilino Bodoni, «Non potevo crederci. Bodoni, il mio amico fraterno Bodoni…», riappaia per l’ultima volta, dopo l’entrata in scena nel primo racconto (L’Avana, Cuba per principianti), facendo di questa raccolta sui generis una sorta di romanzo, a tratti struggente, a tratti ironico, spesso poetico, in cui i racconti s’intrecciano in un progressivo percorso di formazione e romantica disillusione.
Come nasce questo libro?
Alcuni anni fa ho letto Le acqueforti di Buenos Aires di Roberto Arlt. È un testo degli anni Trenta del secolo scorso: tanti ritratti, anche molto brevi, nei quali lo scrittore e giornalista argentino descrive la città che va facendosi metropoli. Da lì nacque la mia idea di scrivere qualcosa di simile sulla città dove abito: Firenze amara e dolce. L’evoluzione è stata questa nuova raccolta di racconti edita da Avagliano, Il giro del mondo in 18 amori: non più una sola città, ma diciotto, ciascuna delle quali fa da scenario a una storia d’amore. Il leitmotiv è l’amore, dunque, ma anche il viaggio.
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Tra l’ultimo racconto e l’indice, c’è Il giro del mondo in 18 canzoni, ovvero diciotto canzoni dedicate ai luoghi e all’argomento, o meglio, a ogni amore: in che modo ha associato musica e racconto?
Ho cercato di scegliere, per ciascuno dei diciotto luoghi che fanno da sfondo ai diciotto racconti, un cantante appropriato. Per esempio, cantanti latinoamericani di lingua spagnola per i racconti ambientati a l’Avana e Buenos Aires, brasiliani per Salvador de Bahia, e così via. Sono tutti racconti d’amore e, quindi, sono tutte canzoni d’amore, alcune molto romantiche, come quelle di Roberto Carlos, dell’argentino Leonardo Favio o del nostro grandissimo Sergio Endrigo, a mio avviso un po’ dimenticato, anche se Simone Cristicchi gli ha dedicato un bellissimo spettacolo.
«“La cosa più terribile che possa accadere a un uomo è l’amarezza”. Questa frase di John Fante – uno degli scrittori da me più amati – continuava a ronzarmi nella testa, come una mosca fastidiosa e imprigionata»: in tutto il libro il fantasma di Fante si aggira, a volte come amico fraterno, a volte come pretesto per riflettere sul valore della scrittura stessa. In cosa sente differente la sua scrittura da quella del maestro abruzzese?
All’inizio del mio percorso letterario sono stato molto influenzato da John Fante. Mi riferisco soprattutto ai miei primi due romanzi, Contro il resto del mondo e Ladri di stelle, il cui protagonista Paolo Tarantini è il mio alter ego, così come Arturo Bandini è quello di John Fante. Poi me ne sono distaccato, perché la scrittura di Fante è muscolare, “vitalistica”, mentre io viro su toni malinconici, anche se mitigati, credo, da un filo d’ironia.
«Io e Arturo Bandini potevamo dire di assomigliarci»: Arturo Bandini è l’alter ego di John Fante, lei che rapporto ha con il suo alter ego, o meglio, la sua scrittura spesso sconfina, piacevolmente, nel documentario, e anche nella critica letteraria: come ha lavorato sul materiale biografico?
Indubbiamente la maggioranza dei racconti contenuti ne Il giro del mondo in 18 amori è scopertamente autobiografica. Non credo che questo sia un limite: basta che non diventi un “guardarsi l’ombelico” ma sia la base per dire qualcosa che possa assumere un valore universale.
«Nel mio romanzo per ragazzi Miss Mina, la piccola Fátima perde una gamba a causa di una mina antiuomo»: è intrigante il ricorrente rimando alla sua produzione, sembra, la sua scrittura, un continuum che si cristallizza, volta per volta, nel romanzo o nel racconto: cosa la spinge a scegliere l’una o l’altra forma per la sua espressione letteraria?
Spesso sono gli editori a spingerti verso il romanzo, “perché vende di più”. Per questo sono grato ad Avagliano per avermi dato l’opportunità di pubblicare due raccolte di racconti: Firenze amara e dolce nel 2014 e Il giro del mondo in 18 amori adesso. La forma racconto è quella che mi è più congeniale: non c’è bisogno di una trama solida come per il romanzo, quello che serve è il tocco, la sensibilità per pennellare certi ritratti o raccontare piccole vicende.
«Io in Angola non ci sono mai stato.L’ho vista in qualche filmato, trovato su Youtube quando mi documentavo per scrivere il romanzo»: Luanda, Miss Mina, è un racconto che narra l’omonimo romanzo. Ci dice se i suoi viaggi sono inventati o se davvero ha visitato quei luoghi? A ogni modo: come si prepara prima di mettersi a scrivere i suoi racconti, o i romanzi? Crede che si possa raccontare anche di ciò che non si è vissuto realmente sulla propria pelle?
Credo che l’esperienza diretta aiuti molto. Tutti i racconti di questa raccolta – tranne quello dedicato a John Fante, ambientato a Los Angeles, e quelli di New York, Maracatoquà e appunto Luanda – si svolgono in città dove sono stato. Ho viaggiato abbastanza, specialmente in America Latina. Ecco perché compaiono Buenos Aires, L’Avana, dove sono stato molte volte, Salvador de Bahia e Colonia Tovar, un surreale villaggio a sessanta chilometri da Caracas e oltre 2.000 metri di altezza, fondato da coloni tedeschi nel 1843: sembra un pezzo di alpi bavaresi ai tropici!
Spesso si riferisce alle sue altre opere: che differenze ci sono tra romanzo e racconto?
Non sono un teorico, sono un autodidatta della scrittura, ma se devo esprimermi, direi che la prima differenza sta nella trama. Un romanzo un po’ di trama deve averla, mentre un racconto è più basato su emozioni, impressioni… Per me il racconto è come una canzone: in pochi minuti ti deve lasciare tanto, o almeno qualcosa.
«Dopo alcuni anni di solitudine, sognavo l’amore»: è una frase del racconto Firenze, Il raggio verde. Il racconto, uno dei più struggenti e poetici della raccolta, porta in esergo una citazione tratta dal poema Canzone della torre più alta di Arthur Rimbaud, e il titolo rinvia al romanzo omonimo di Jules Verne e all’omonimo film di Éric Rohmer, che proprio al verso di Rimbaud s’ispira. Non le voglio chiedere perché ha scelto l’amore come argomento di questa solitudine scritta, ma è interessante che non scriva mai la parola desiderio, nonostante un continuo desiderio compulsi le azioni della voce narrante dei suoi sodali di fiction: secondo lei c’è un legame tra scrittura e desiderio? E considera la scrittura un antidoto alla solitudine, per riprendere le parole di David Foster Wallace?
Domande difficili… Sul legame tra scrittura desiderio “passo”. La scrittura può essere un antidoto alla solitudine, d’accordo, ma mio avviso è essa stessa solitudine. La scrittura è un lavoro di scavo, anche quando al lettore appare semplice e lineare: è un rivivere cose vissute, è un raschiare, un interrogarsi dentro, cercando poi quella giusta distanza per raccontarle in modo al contempo partecipe e distaccato. Detta così suona parecchio difficile…
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«Potremmo paragonare gli occidentali in cerca di donne cubane agli avvoltoi che volteggiano sul Torreón de la Chorrera, pronti a planare sui rifiuti in riva al Malecón». Per tutto il romanzo le scorribande di Marco alla ricerca della donna perfetta spesso naufragano nella disillusione e nella tristezza, e spesso si ha l’impressione che la colpa sia, appunto, quasi sempre del gentil sesso. Secondo lei, nel mondo letterario, esiste ancora una qualche forma di maschilismo?
Ahi… se nei miei racconti si ha l’impressione che la colpa sia sempre del gentil sesso, le lettrici mi tireranno le orecchie! Davvero, non saprei se nel mondo letterario esiste una qualche forma di maschilismo. Certamente alcuni scrittori, anche notevoli, hanno un punto di vista marcatamente maschile e talvolta anche “machista”; io, però guardo soprattutto la sincerità: pretendo che un autore sia sincero, che si percepisca che “sente” quello che scrive, per questo ho amato così tanto John Fante e adesso apprezzo uno scrittore come Pedro Juan Gutierrez, quello della Trilogia sporca dell’Avana, o per citare un altro cubano Reinaldo Arenas, perseguitato dal regime perché omosessuale e morto suicida nel 1990. È la sincerità della propria voce a rendere grande uno scrittore.
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Per la prima foto, copyright: Joel Overbeck su Unsplash.
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