Il futuro è una terra straniera. “I fratelli Michelangelo” di Vanni Santoni
Puntata n. 70 della rubrica La bellezza nascosta
«Vuoi giocare? Facciamo due tiri, allora, che se fumo poi mica ci riesco... Mi parlava con una sornioneria tutta posticcia, e che però su di me, arrivato da Firenze, sradicato – anzi peggio: rinnegato –, aveva un effetto. Non avevo mai fumato neanche una sigaretta, a parte una volta che ne avevo presa di nascosto una alla mamma, e dalla tosse avevo sputato i polmoni. Ora, dopo aver giocato due contro due con dei milanesi, e aver pure vinto, ci fumavamo una canna, che eravamo andati a farci fare da due punk all’albero più in là, perché neanche Carletto sapeva girarle. Fumavamo, tossivamo e ridacchiavamo.»
Di cosa siamo fatti se non di quello che abbiamo letto, di ciò che abbiamo visto, di tutte le cose che abbiamo vissuto e che come una mappa emozionale ci hanno segnato, sulla pelle e ancor più, dentro il corpo? Cosa siamo senza passato? Sono queste le domane fondamentali che prima o poi vanno a infettare ogni vita, ogni solitudine, ogni luogo. Ma le risposte, poi, diventano pietre; si trasformano in pesi che siamo costretti a portarci dietro e che inevitabilmente finiranno per contagiare le nostre esistenze. L’eredità reale che ci lascia il passato concreto, quello fatto di carne e fiato, è un’eredità di geni e movimenti e di particelle; chi ci ha messo al mondo ci lascia forzatamente sopra la sua scia, la sua impronta, e spesso, le sue paure.
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Vanni Santoni è nato a Montevarchi nel 1978, I fratelli Michelangelo è stato pubblicato da Mondadori.
Antonio Michelangelo è un uomo che nella vita è stato tutto e il contrario di tutto: scrittore, regista, artista, ingegnere. Decide, un giorno, di convocare i suoi cinque figli, anche quelli che ignorano che lui sia il loro padre, nella sua villa a Vallombrosa, dove dimora. I suoi figli, dunque, che divenuti adulti, si trovano lontani, sparsi per il mondo. Non tutti accetteranno di tornare da Michelangelo e non tutti lo faranno per gli stessi motivi.
«Non è commovente, diceva Alejandro, che aveva messo su una rada barbetta nera, oltre a dei capelli più lunghi che, dividendosi sotto al pahari topi, gli formavano due codacci dietro al collo, non è commovente vedere come, qua, si creda? Come ci si affidi al volere divino, come si senta il volere divino, e come da esso sgorghi il rispetto che si dà al primo sadhu di passaggio, al primo vecchio pulcioso con una tunica arancione, e anzi più pulcioso è, meglio è! Segno che è sincero... Non è commovente?
Forse, ma per arrivare qui sono atterrato in una città avvilente per la sua miseria, e ho attraversato campagne al cui confronto il nostro dopoguerra era il paese di Cuccagna. Non trovi ironico che qualcosa di sublime come l’Advaita Vedanta abbia finito per giustificare un sistema privo di mobilità sociale?»
Ci sono gli echi dei grandi classici in questo romanzo fiume di Vanni Santoni. Si respira, tra le pagine, un uso eccelso del linguaggio. Andiamo incontro ai personaggi, ci ritroviamo tra le loro vite, dentro quello che sono stati, proviamo a calzare le loro delusioni, a sentircele addosso, a tentare di farci star bene le loro rivincite, le loro rincorse.
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I fratelli Michelangelo è un romanzo sull’eterno ritorno, sul cerchio, sulla chiusura che prima o poi arriva per tutto; mi ha fatto pensare alla teoria dei buchi neri, alla teoria, appunto, dell’eterno ritorno dell’uguale di Friedrich Nietzsche, dove tutto ciò che accade già era o dovrà tornare.
«Hai ragione. Sarà quello che ho passato. Il fallimento rende insicuri, è una cosa orribile... Non hai fallito niente, hai appena cominciato. Cinque anni non sono pochi. Cinque anni non sono niente! Ah, a proposito di prendere la gente per il verso giusto, sai che Mats se n’è andato? Vuoi parlarmene?, ghigna Cristiana enfatizzando il gesto di accendere la macchina. Non c’è niente da dire. Sai cosa volevo chiedere a Louis?, dice Cristiana, e continua anche se Rudra non mostra un particolare desiderio di volerlo sapere, Volevo chiedergli di quel giorno, in piazza Savonarola. Che ricordi solo tu. Tu eri piccolo. Secondo me lui lo ricorda. Uh, dice poi buttando l’occhio sul display del cellulare, ma sono già le otto? Comincia Beverly Hills? Quello lo guardavi tu. Twin Peaks? Fava, devo andare a cena. Andiamo!»
Vanni Santoni riesce perfettamente in questo gioco a incastri di esistenze lontane, il ritmo è veloce, la scrittura importante, e l’intero romanzo è pieno di rimandi letterari. I fratelli Michelangelo è forse un tassello che mancava nel percorso contemporaneo della letteratura italiana. Un libro che pesa e gronda di verità, di consapevolezze, sia stilistiche sia emozionali.
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Davvero importa di cosa siamo fatti? Davvero è importante impastarci di memoria per tornare a capire da dove viene ogni nostro spostamento? Credo di sì, credo che in fondo, sia tutto lì, in quei giorni in cui il futuro ancora non esisteva, dove il futuro era una terra straniera.
Per la prima foto, copyright: Jesse Bowser su Unsplash.
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