“Il futuro del libro” di Robert Darnton
Negli ultimi anni l’editoria in formato digitale ha conquistato una parte sempre più consistente del mercato, soprattutto in paesi nei quali il costo di prodotti tecnologici è user-friendly. Fra questi gli Stati Uniti, patria del Professor Robert Darnton, presidente dell'American Historical Association e direttore della Biblioteca dell’Università di Harvard.
Ne Il futuro del libro Darnton (traduzione di A. Bottini) racconta una parte della storia della lettura a stampa, da Gutenberg alle moderne tecnologie, con un occhio di riguardo per la produzione accademico-scientifica. Il volume è diviso in tre parti divise a loro volta in saggi:
IL FUTURO
Google e il futuro dei libri
Il paesaggio dell’informazione
Il futuro delle biblioteche
Perduti e ritrovati nel cyberspazio
IL PRESENTE
Libri elettronici e libri tradizionali
Gutenberg-e
L’open access
IL PASSATO
Inno alla carta
L’importanza di essere bibliografi
I misteri della lettura
Che cos’è la storia del libro?
L’aspetto più interessante di questo lavoro sta nella ricerca di Darnton, a volte faticosa, spesso nostalgica, di adeguarsi alle nuove tecnologie e trovare aspetti positivi nel progetto, iniziato da Google alcuni anni fa, che dovrebbe portare alla digitalizzazione di buona parte della produzione (cartacea) presente sul mercato. In particolare, tutto ciò che riguarda la ricerca scientifica, quindi libri recenti, protetti dal copyright.
“Stiamo già assistendo alla scomparsa di molti oggetti familiari: la macchina per scrivere, ormai relegata nei negozi di antiquariato; la cartolina postale, una curiosità; la lettera scritta a mano, un compito superiore alle capacità della maggior parte dei ragazzi, che non sanno più scrivere in corsivo; il giornale quotidiano, estinto in molte città; la piccola libreria, sostituita dalle grandi catene di distribuzione, a loro volta minacciate dai distributori online, come Amazon.” (pag 20)
Un mondo in costante evoluzione, ma anche un mondo nel quale, fino ad ora, la biblioteca ha avuto un ruolo di primaria importanza poiché favorisce la conoscenza ‘aperta a tutti’:
“Sembrerebbe l’istituzione più arcaica di tutte. E tuttavia il suo passato fa ben sperare per il suo futuro, perché le biblioteche non sono mai state magazzini di libri. Sono sempre state e sempre saranno centri di studi e di cultura.” (pag 20)
Darnton sottolinea come siano state le stesse biblioteche a permettere che il progetto Google Book Search prendesse vita mettendo a disposizione, in formato digitale e con lo scopo di condividere il sapere, parte del patrimonio che custodivano. C’è il rischio che questo progetto trasformi “internet in uno strumento per la privatizzazione di un sapere che attiene alla sfera pubblica.” (pag 34) poiché per la consultazione di questo materiale verrà chiesto, ad utenti singoli o corporativi, di pagare. Eppure, i benefici della condivisione sono innumerevoli. Darnton, per esempio, ricorda il tempo in cui le biblioteche, per risparmiare spazio, furono costrette ad utilizzare microfilm al posto dei libri.
L’esigenza di digitalizzare è legata all’ossessione dello spazio e alla crisi d’identità di una cultura che non sembra più in grado di gestire se stessa. Forse non siamo poi così lontani da quella città futuristica del 2440 ipotizzata da Luis-Sèbastien Mercier in cui tutto il sapere sarà contenuto in quattro scaffali perché ridotto all’essenziale.
È questo il futuro del libro? Darnton sembra voler difendere le nuove tecnologie. Ciononostante lui per primo non ne pare poi così convinto. Forse anche per Darnton è caro il commonplace book, una sorta di zibaldone nel quale i lettori raccoglievano passi interessanti dei libri che leggevano imponendo contemporaneamente ordine all’esperienza.
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