Il fascino di raccontare il male. Intervista a Donato Carrisi
Donato Carrisi in questo momento non è solo nelle librerie con L'uomo del labirinto (Longanesi, 2017), il suo nuovo thriller, ma è anche nei cinema con La ragazza nella nebbia, tratto da un suo precedente romanzo uscito nel 2015, che ha sceneggiato e diretto personalmente perchè non ha mai voluto cedere i diritti dei suoi libri, nel timore che registi e sceneggiatori ne alterassero le trame.
Non si può dire molto della trama de L'uomo del labirinto, romanzo inquietante e complesso come tutti i precedenti scritti da Carrisi. In questo caso siamo alle prese con una ragazza tenuta prigioniera per molti anni da un maniaco in un luogo che semnbra appunto un labirinto, e con un detective testardo che, dopo il ritrovamento della ragazza sfuggita al suo carceriere, cerca di fare luce sui lati della vicenda che continuano a rimanere oscuri.
Del libro e del film abbiamo parlato con Donato Carrisi nel corso di una cena molto conviviale organizzata dalla casa editrice Longanesi in un ristorante tipico milanese.
Come inizia a costruire le sue storie così complesse?
Comincio sempre a scrivere immaginando il finale. Ragiono da lettore prima che da scrittore, i libri che mi piacciono sono quelli di cui mi ricordo il finale. Lo stesso mi accade con i film: se non c'è un bel finale, per quanto mi riguarda un libro ( o un film) non mi è piaciuto, questo è ormai il mio criterio di misura.
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Uno dei punti di forza di questo libro è l'aver disseminato tanti piccoli indizi che permettono di comprendere il meccanismo che c'è dietro dopo la grande rivelazione finale. Come funziona da autore questo lavoro sui dettagli?
Ti devi divertire con cattiveria, costruendo l'impianto della storia in modo tale da guidare il lettore in un percorso preciso. Non si deve mai ingannare il lettore, ma bisogna fornirgli gli elementi per arrivare al finale per conto suo.
Mi accorgo che gli indizi funzionano attraverso il mio editor, perché è dalle sue reazioni che capisco se ho seminato bene oppure no. Mi fido ciecamente del suo giudizio, per cui ci resto male se certe cose non gli piacciono.
Come si è documentato per scrivere del deep web?
Ho letto qualcosa, ho parlato con diverse persone, me ne sono interessato per un po', anche se poi ho mollato perché la rete che c'è sotto alla rete è davvero inquietante, soprattutto perché sta ormai emergendo in quella visibile. Colloco i miei romanzi in una terra di nessuno, la zona grigia tra il bene e il male di cui parlava già Il Suggeritore: in quella zona grigia si svolge tutto, ed è anche lì che scrivo. Io non prendo mai le parti del bene o del male, non m'interessa collocarmi.
Il fatto di essere letto in tutto il mondo l'ha in qualche modo condizionata, ha cambiato il suo modo di scrivere per il fatto di parlare a persone di Paesi diversi?
No, il mio linguaggio è sempre stato lo stesso fin dall'inizio. Il Suggeritore, ad esempio, non aveva un’ambientazione precisa, così come non lo è quest'ultimo romanzo, eppure il settanta per cento dei lettori in giro per il mondo lo collocava in Canada, un paese a cui non avevo proprio mai pensato. È chiaro che se ambienti la storia ad Abbiategrasso è più difficile parlare ai lettori stranieri, ma uscendo dalla provincia si arriva a un pubblico più vasto.
Che rapporto ha con i personaggi dei suoi romanzi, soprattutto con quelli de La ragazza nella nebbia, di cui ha scritto poi anche la sceneggiatura e ha diretto il film?
In realtà avevo scritto prima la sceneggiatura, poi il romanzo e poi di nuovo la sceneggiatura, quindi l'ho diretto. Si comincia a dirigere scrivendo e si finisce di scrivere girando. Non ho mai un rapporto troppo intimo con i miei personaggi, salvo forse con Genko, che ho sentito particolarmente vicino, ma ne ho uno speciale con i miei mostri. Jeffrey Deaver all'inizio mi ha dato un buon consiglio: «io uccido sempre i buoni e non uccido i cattivi, i miei cattivi sono tutti in un carcere di massima sicurezza a Manhattan». È il cattivo, in effetti, che fa la storia: le storie dei buoni non interessano granché ai lettori.
Qual è il suo rapporto con la vita reale mentre scrive questi libri così carichi di orrori? C'è uno straniamento dalla vita quotidiana o no?
Magari! Il maestro delle ombre l'ho scritto mentre stavamo ristrutturando casa, su un microscopico tavolino Ikea, col computer che si è rotto, col tubo del piano di sopra che ci ha allagato l'appartamento e un bambino piccolo intorno…
Invidio i colleghi che parlano di qualche "buon rifugio", magari con finestra vista mare. Io non ne ho mai avuto uno, ho sempre scritto in condizioni estreme, anche in giro per il mondo mentre presento i libri precedenti, ma mi è sempre andata così.
Cosa ci può dire della figura del consolatore?
Il sadico consolatore è una figura recente, esplorata dalla psicologia criminale ma non da letteratura e cinema. Non è interessato alla morte della vittima, vuole tenerla prigioniera così come noi teniamo prigionieri i nostri animali domestici. Siamo sicuri che i nostri gatti vogliano vivere davvero con noi? Per il consolatore non è rilevante l'opinione della vittima prigioniera, come per noi non è rilevante l'opinione di un criceto in gabbia. Si occupa della vittima, pensa addirittura di accudirla.
È quindi l'apice della malvagità?
Per me sì. La morte risolve tutto, la tortura prolungata che a volte dura molti anni è una cosa tremenda.
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Preferisce un personaggio perfetto o una trama perfetta?
Trama perfetta! Un personaggio imperfetto può anche dare sviluppi interessanti, e sta in questo la differenza tra scrittore di gialli e di thriller: l'autore di gialli cerca il personaggio perfetto, quello di thriller punta tutto sulla trama. Non contano i personaggi e non conta lo scrittore, importa solo la storia. E non si può raccontare una storia senza una donna. I personaggi femminili sono sempre la chiave di tutto.
Da scrittore, la cosa che desidererei di più sarebbe poter vedere di nascosto le reazioni dei lettori quando stanno leggendo un mio romanzo e arrivano alle pagine finali. Con il film ho potuto mimetizzarmi con mia moglie tra il pubblico e mi ha dato molta soddisfazione assistere alle reazioni degli spettatori.
Credo che non ci sia niente di più bello per un autore.
C'è una ragione perché la leggono di più le donne?
Le donne hanno una maggiore sensibilità, sono il tramite per la trasmissione della vita. Molto più praticamente, la cultura di un paese dipende dalle sue donne. Se sono poco istruite, o non hanno accesso ai mezzi culturali , quel paese si impoverisce.
Sono convinto che se nei paesi arabi le donne avessero avuto più accesso alla cultura non ci sarebbe stata l'Isis.
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Per la prima foto, copyright: Erik Odiin.
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