Il fascino degli abissi ne “Il libro del mare” di Morten A. Strøksnes
«Acqua e meditazione sono sposate per sempre» scrive Herman Melville: la frase è riportata sulla quarta di copertina dell’ultimo lavoro di Morten A. Strøksnes, Il libro del mare, o come andare a pesca di uno squalo gigante con un piccolo gommone sul vasto mare, uscito in Italia il maggio scorso per Iperborea nella traduzione di F. Felici. Non ci sarebbe frase più adatta da accostare a quest’opera, che è in effetti una lunga meditazione scaturita dal mare e incentrata sul mare.
L’impresa in cui s’imbarca il narratore insieme all’amico pittore Hugo affonda le sue radici nella necessità ancestrale dell’uomo di indagare e interrogare l’imponderabile. L’autore/narratore di questa avventura, che segue la via tracciata da Melville e Jules Verne, in una fresca giornata di luglio prende un aereo da Oslo per Bodø per iniziare la caccia allo squalo della Groenlandia, essere enorme e abissale, vera e propria creatura mitologica per la gente del Vestjorden. Da Brodø i due amici raggiungeranno Skovra – «Skovra non è sul mare, è nel mare» –, lì si trova la Stazione Aasjiord dove Hugo vive con la moglie. Questo luogo diviene nel corso del racconto una sorta di personaggio, variabile e carico di una forza significante a cui non si può sfuggire.
«Mentre fuori piove e tira vento, faccio qualche piccola spedizione esplorativa in giro per la stazione di Aasjiord. Gli edifici non hanno in genere isolamento, e traspirano vento e maltempo. [..] L’attività è cessata nei primi anni Settanta, quindi ci vuole un buon naso per sentire le tracce dei milioni di pesci passati per questi locali. Ma al tempo stesso aleggia altro, come se le case avessero memoria o fossero in grado di trasmettere una vaga impressione del loro passato, che si insinua impercettibile come le voci che s’insinuano a volte nei sogni».
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Inizia così quest’epopea moderna che vortica come un uragano fra i fiordi e il Mare del Nord, portando con sé una colossale mole d’informazioni letterarie, saggistiche, scientifiche e folkloristiche – una vera e propria summa sul tema del mare. Vengono ricordate dall’autore molte opere in cui il mare e le forme di vita che lo attraversano regnano sovrani: come la Carta del Mare di Olao Magno, opera del Cinquecento che segnala la presenza dei mostri marini che abitano gli abissi e che dedica particolare attenzione a quel tratto del mare di Norvegia dove i due amici stanno svolgendo la caccia, o il celebre Il battello ebbrodi Rimbaud che «sconvolto dalle visioni , vive la forza spaventosa e liberatrice del mare, i suoi perenni e violenti flutti e spruzzi […] Rimbaud non aveva mai visto il mare quando scrisse questo testamento al suo potere su tutti noi, a sedici anni».
Tuttavia ciò che a Strøksnes interessa non è soltanto un’enumerazione di argomenti o uno spericolato percorso enciclopedico, ma anche – e forse soprattutto – far percepire al lettore attraverso queste continue evocazioni quanto il mare abbia stimolato la fantasia e la creatività degli esseri umani, quasi fosse un’entità con cui l’uomo debba necessariamente confrontarsi per arrivare a sciogliere i nodi cruciali dell’esistenza. La vita del mondo d’altronde nasce nell’acqua, è lì che si sono sviluppati i primi microrganismi, «il mare è l’origine». Come dimostra bene l’autore, lo studio del mare e l’interesse per le creature che lo abitano portano l’uomo a conoscere di più il passato del mondo, perché nel mare l’evoluzione è più lenta, e c’è ancora tanto d’inesplorato nelle sue profondità. Emerge da questa esperienza una sorta di naturalismo religioso, un rapporto spirituale quieto e selvaggio con il pianeta che attraverso l’incanto e lo sprofondamento nel blu può svelare molto al lettore capace di ascoltare.
«Magari guardare l’oceano in tempesta fa sentire a qualcuno quanto è vecchia la terra.»
«Si presuppone che gli elementi costitutivi siano gli stessi in tutto l’universo, e che l’acqua debba quindi essere dappertutto il grande avviatore, insieme al carbone. L’acqua non contiene necessariamente vita, senza l’acqua però non c’è vita. Per questo gli astrofisici non cercano la vita come prima cosa, quando studiano Marte o altri pianeti, cercano l’acqua».
Le giornate a Skovra si passano in mare, a caccia. Oppure, quando arriva la tempesta, si resta bloccati alla stazione Aasjiord. La famiglia di Hugo viene da una lunga tradizione di pescatori e cacciatori di balene. I suoi racconti che rievocano il passato, le barche possedute, i pericoli scampati, sono incastonati per tutta l’estensione del libro.
Sono i momenti di stasi che rischiano di incrinare il rapporto fra i due amici, fatto di comprensione e di silenzi, nonché la loro stessa lucidità mentale. Capita che l’autore emerga boccheggiando da sogni e allucinazioni, temendo di essere un novello Ulisse, punito da Dante nell’Inferno. Lo squalo di Groenlandia diviene, nella sua mente, e agli occhi del lettore, un mostro mitologico, che evoca Scilla e Cariddi, e incarna il desiderio dei due amici di spingersi oltre, come Ulisse – sempre più in là, oltre le colonne d’Ercole.
«A volte, quando stiamo sulla riva in mezzo ad una furiosa tempesta è come se il mare ci rivolesse indietro».
I due amici passano ore in mare aperto a predisporre esche per catturare la bestia marina, ad attendere, a sperare su “un piccolo gommone galleggiane”, in balia del tempo. Nonostante i rischi e i fallimenti continui i due protagonisti continuano con il loro progetto, e non smetteranno finché non avranno raggiunto l’obiettivo. Entrambi ne sono pienamente consapevoli. Per quanto possano essere grandi i pericoli e lunga l’attesa, ne varrà la pena: quei luoghi, per il narratore, continuano ad essere un implacabile motivo d’incanto.
«C’è una trasparenza in quell’acqua che si inabissa, nel movimento verticale che porta giù nell’oceano. È davanti a noi, sopra di noi, dentro di noi. Ma più di tutto, sotto di noi. Giù sul fondo del mare nero, dove vivono quei pesci meravigliosi».
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Lo stile dell’autore è delicato, controllato, con fluidità passa dal realismo del racconto all’esposizione nozionistica, come un’onda che unifica i granelli di sabbia. È un libro che si divora, assetati, tanta è la maestria di Strøksnes nel destreggiarsi con leggerezza fra questi abissi di ricerca e di senso, e nel raccontare la caccia a uno squalo che pesa quasi una tonnellata.
Per la prima foto, copyright: Michael D Beckwith.
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