Il fantasma dell’uomo. “Spettri di frontiera” di Ambrose Bierce
Pubblicare oggi una raccolta dei venti migliori racconti di Ambrose Bierce sotto il titolo Spettri di frontiera, sottintende da parte della casa editrice Adiaphora una decisione particolare. Si è scelto di valorizzare l’attività di uno scrittore, forse non da tutti conosciuto, che ha saputo coniugare narrativa gotica (nel senso ottocentesco del termine), giornalismo di cronaca e uno stile grottesco in modo talmente unico da farne un epigono di Poe e l’ispiratore di Lovecraft, senza contare i vari autori da Borges a Vonnegut che lo hanno voluto citare. Il curatore e traduttore, Matteo Zapparelli Olivetti, ha svolto un’operazione singolare, una scelta dei racconti migliori, presentandoli in maniera filologica con il testo originale a fronte. Se per la storia della letteratura, Bierce è uno degli iniziatori dello stile gotico-horror, a uno sguardo più attento appare come un autore ben più complesso.
In Un saluto freddo (A cold greeting, 1888) si narra la storia di un tale che racconta del patto tra due amici: il primo che fosse morto si sarebbe in qualche modo messo dalla tomba in contatto con l’altro. Ma a causa di un equivoco il secondo non riesce a comunicare con il primo, apparso da morto senza i baffi che aveva da vivo. Insomma: un’altra persona. Il fatto che la mancanza di un solo paio di baffi trasformi la fisionomia nota di un amico dimostra quanto il gotico di Ambrose Bierce si tinga di un sottile e insolito umorismo. Il dettaglio nello scrittore americano non riflette solo una scelta stilistica, è il tratto che muove le trasformazioni e le grottesche consequenzialità che legano l'uomo in carne e ossa al fantasma. Basta radere un paio di baffi e la realtà comunemente intesa si capovolge. Ecco la sottigliezza di cui Bierce è maestro.
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Leggere questi racconti è come sfogliare una mappatura del paradosso, di cui parte integrante è l'America ottocentesca, all'interno della quale (viene da dire nell'anima), come in un congegno a sorpresa, si articola e si disarticola la casa: sede indifferenziata di morti e di vivi. Il fantasma in Bierce non è tanto il morto che si riaffaccia alla ribalta della vita, o meglio non è la sola persona morta che visita e terrorizza i vivi, è qualcosa di complesso e assurdo che comprende più elementi del vissuto, del rivissuto e del deforme. Il fantasma è l'uomo riveduto e corretto: la copia grottesca. La casa americana ottocentesca, con i suoi stilemi che ripercorrono, o meglio imitano il passato nelle sue architetture e nei suoi elaborati vani e pertugi, è l'habitat di ciò che è segretamente, sinistramente e illimitatamente racchiuso e nascosto. Il fantasma è l'infinito che manca all'arredamento, ciò che vive nella cecità del buio e che può esplodere in una luce spettrale agli occhi di chi incautamente perlustra la casa. Lacasa è fantasma essa stessa. Il lettore non può esimersi dal meravigliarsi, e spesso dall'inorridire, all'idea di trovarsi di fronte a delle costruzioni che pur nella loro interezza sono rovine. Figurazioni quasi antropomorfiche. Alberi e varie vegetazioni come membra ribelli le penetrano e le stregano. I fantasmi sono gli assi portanti dell'immagine e reputazione della casa. Le travi che la sostengono. La necessità strutturale.
La natura si anima e uccide. In Bierce c'è una natura che si fa laboratorio di distruzione, di angoscia, con lucida, risentita e vendicativa determinazione. C'è competizione tra luogo e uomo, ma le armi non sono pari, la vittoria arride al fantasma, sia di uomo che di albero. Il viandante, l'errante, il vagabondo, o il gentiluomo assetato di verità e determinato nell'entrare nel ventre della casa, non possono che soccombere al terreno della fantasticheria (fantasia e fantasma). Non resta che il racconto, attuale e retrospettivo; in questo Bierce è maestro. Il racconto vince ogni confine. Il tentativo di agire nei confronti del fantasma spetta allo scrittore. Non pochi personaggi dei racconti sono loro stessi narratori, rivivono in terza persona vicende altrui, vere o inventate che siano. Il narratore mira a suggestionare l’uditore; verità e menzogna sono alla pari artifici utili allo scopo. Bierce, narratore di narratori, racconta con la volontà e l'onestà di fare cronaca piuttosto che aggiungere meraviglia alla meraviglia. La sua prosa controllata ne è la prova.
Il curatore ha giustamente parlato di «orrore esistenziale» e «topografia del terrore» ma si tratta di un’angoscia del tutto grottesca in cui l'equivoco genera il fantasma. I cardini di una porta che stridono ne sono l'avviso: si entra incasa e ci si imbatte in pile di cadaveri. Più che di sorpresa si può parlare di ineluttabilità domestica. Un’ancestrale diavoleria è la chiave per entrare nel mondo di Bierce (la stanza in cui sono accatastatati i cadaveri non è troppo diversa dalla stanza dei balocchi: la bambola, si sa, è uno dei maggiori medium dell'orrore).
Il fantasma è insito nell’animo dell’uomo, il trapasso è solo una formalità, lo spettro fa parte di noi, è “la manifestazione esteriore di una paura interiore. Il prendere corpo di una malattia dell’animo”.
Nel famoso Un abitante di Carcosa (An inhabitant of Carcosa, 1886), un uomo febbricitante si smarrisce in una radura cupamente descritta e scopre, tra le varie pietre tombali nascoste nella vegetazione, la propria con tanto di data di nascita e di morte; lui non se ne rende conto ma è già un fantasma invisibile; né una volpe né un passante lo notano, e quando le stelle lo illuminano non appare la sua ombra. Questo racconto col quale comincia la raccolta è forse il più emblematico, l’atmosfera è resa con un’attenta descrizione del luogo, rappresentazione che prelude al dramma: la radura è definita come «una distesa pianeggiante, tetra e desolata» dove «alberi folgorati sembravano i cospiratori di quel malefico complotto fatto di silenziose attese» e «nessun altro suono o movimento rompeva l’orribile quiete di quel lugubre luogo». Ancora una volta la prosa di Bierce fattasi cronaca giornalistica. Il linguaggio è semplice, gli aggettivi che pur abbondano sono sempre funzionali all'ambientazione maledetta. Bierce non fa paura, né scandalo, invoglia piuttosto al piacere di leggere, curiosando attraverso il buco nero della serratura (dellacasa).
In Un arresto (An arrest, 1905), un evaso colpisce con una spranga di ferro un secondino, e dopo la fuga in un bosco viene arrestato dallo stesso poliziotto, creduto sopravvissuto alla sua aggressione; tornato in prigione il fuggitivo scopre sul tavolo di un corridoio il cadavere dello stesso secondino che aveva precedentemente colpito: ciò significa che è stato arrestato dal suo fantasma. L’essere umano per il solo fatto di esistere è già fantasma di se stesso. Vige l'ineluttabilità del soprannaturale.
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Non appare certo casuale apprendere che Bierce sia stato giornalista di razza e che la sua vita sia stata particolarmente movimentata (tra le altre cose fu militare e topografo). Uomo di esperienza, nei suoi racconti travasa la capacità della descrizione e della precisione. È questo che ne fa un maestro: la semplicità del linguaggio che non trascura attenzione ed emozione e che fa dell'esasperazione uno strumento non astruso di comunicazione. Di sicuro impatto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
La sua opera più famosa rimane Il dizionario del diavolo che occupa l’intero volume settimo della sua The Collected Works of Ambrose Bierce, 12 volumi, 1909-1912. Si tratta di una sorta di zibaldone, che gli dà fama di aforista. Citiamo alcune voci della lettera D:
- Depressione (s.f.). Particolare condizione di spirito provocata da una barzelletta sul giornale, uno spettacolo comico o la contemplazione del successo altrui.
- Diagnosi (s.f.). Talento molto sviluppato fra i medici che consiste nell'intuire l'entità del conto in banca del paziente in modo da poter stabilire quanto a lungo debba essere ammalato.
-Destino (s.m.). Misteriosa entità che dovrebbe controllare tutte le sorti umane e che viene invocata soprattutto da chi sbaglia per scusare il proprio insuccesso e dai tiranni per giustificare i propri crimini.
Bierce si permette anche di riscrivere i Dieci Comandamenti e la regola del Sabato ebraico:
- Non avrai altro Dio all'infuori di me.
Sarebbe troppo costoso averne di più.
-Non nominare il nome di Dio invano.
Scegli il momento più opportuno per l'effetto.
- Non lavorare affatto nella giornata di Sabato.
Ma vai a vedere giocare la squadra di calcio.
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