Il duro lavoro dell’editor. Intervista a Gabriele Sabatini
Oggi ho avuto il piacere di intervistare Gabriele Sabatini, persona dagli occhi puliti e dal sorriso genuino, che dietro modi pacati ed educati cela un animo volitivo e determinato.
Editor di professione, si è lanciato in un’incursione dall’altra parte della barricata, firmando il libro Visto si stampi (ItaloSvevo, 2018), nel quale racconta una serie di vicende editoriali che ebbero luogo nel rinascimento dell’editoria italiana, ovvero nell’immediato dopoguerra. Viene svelato molto di quello che c’è prima di arrivare alla pubblicazione di un’opera, portando il lettore all’interno di dinamiche per lui sconosciute, ma con le quali gli scrittori fanno i conti ogni giorno come per esempio libertà nel trattare certi temi o censura, oppure scelta autonoma del titolo o titolo imposto.
Cosa ha studiato, aveva già le idee chiare una volta preso il diploma?
Idee chiare? No, per nulla! Durante l’estate in cui mi sono diplomato devo aver cambiato idea una dozzina di volte. Poi, ai primi di settembre, mi sono trovato davanti a un bivio: Scienze politiche o Studi storici. Scelsi il primo percorso forse anche facendomi trascinare dall’idea che sarebbe stata una laurea più – per così dire – utile, ma l’anno successivo chiesi il trasferimento a Studi Storici seguendo poi quella strada fino in fondo.
Come fa un neolaureato a farsi assumere in una casa editrice?
Questo proprio non lo so e non voglio rischiare di dare suggerimenti maldestri.
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Ci racconta il lavoro dell'editor?
Il lavoro in una casa editrice di saggistica è certamente diverso da quello che si può immaginare: i momenti alla Gordon Lish o alla Vittorini non sono certo una costante. Quella che un editor di saggistica deve avere chiara sempre è l’idea che sta dietro al catalogo. Capirne il passato e prefigurare un dialogo costante tra i nuovi titoli proposti e quelli già usciti. E capire cosa la casa editrice vuole essere nel futuro. Questa idea di catalogo deve essere un’ossessione, deve entrare dentro di te come fosse un bicchier d’acqua fresca, nel senso che la devi sentire scorrere dentro di te. E trasformarla in un istinto editoriale. Non sto dicendo che io riesca a fare tutto ciò, ma sto raccontando quello che vedo, ossia vedo che quegli editor che più stimo riescono a lavorare in questo modo.
Cosa le piace del suo lavoro e cosa cambierebbe?
Beh, a costo di sembrare un romantico, la cosa che più mi piace è trovare i libri di Carocci in libreria. Mi fermo a guardarli chiedendomi perché mai sia presente quel titolo e non quell’altro e gongolo quando trovo un vasto assortimento. Cosa cambierei... fare di conto, ovviamente. Il mestiere dell’editor così come lo svolgiamo da Carocci è anche un mestiere di calcoli economici... e questo a chi piace?
Spesso gli editor sono aspiranti scrittori che hanno ripiegato su altro, è d'accordo?
Spesso lo sono, altrettanto spesso non lo sono. Conosco molti redattori ed editor che non hanno mai avuto voglia di scrivere qualcosa di loro pugno e sono felicissimi così. Altri invece scrivono e possono essere soddisfatti o meno del risultato. Di certo c’è che a un editor capita di lavorare con autori raffinati che ti fanno dire “io non sarò mai bravo come lui”... E questa è una cosa con cui dover fare i conti!
Come è nata l'idea di Visto si stampi?
Devo dire un po’ per caso. Ero a una presentazione e chiacchierando con Alberto Gaffi siamo finiti a parlare di un articolo su Curzio Malaparte che stavo preparando per DoppioZero. Così è nata la cosa: Alberto Gaffi e Giovanni Nucci (direttore editoriale della Italosvevo) si sono incuriositi del mio lavoro e hanno letto i miei articoli. E abbiamo così potuto tessere la tela di un libro che ha due fili conduttori. Primo: si parla di opere che risentono dell’esperienza fascista e della guerra (si potrebbe eccepire che il Viva Caporetto! di Malaparte si riferisce alla prima guerra mondiale, e non alla seconda, ma la storia editoriale di quel libro è esemplificativa del clima culturale dell’inizio del Ventennio); secondo: si tratta di quasi tutti esordi e, laddove non lo sono, rappresentano comunque opere di svolta dell’autore (è il caso di Brancati, che con Il vecchio con gli stivali inaugura la sua serie di opere di critica verso il trasformismo italiano, e di Cassola, che con La ragazza di Bube ha un successo vastissimo per numero di copie vendute ma attrae gli strali della critica).
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È soddisfatto del risultato, com'è essere per una volta dall'altra parte?
Sono molto soddisfatto. I libri della collana Piccola biblioteca inutile sono degli oggetti preziosi e sono molto felice che su uno di questi ci sia il mio nome. E poi invito tutti i lettori a dare una scorsa ai titoli e agli autori proposti nella collana, non sarà tempo perso.
Stare dall’altra parte è una cosa che mi fa molto sorridere... la cosa più difficile è non invadere il campo altrui e riuscire a essere autore senza mettersi a fare l’editore in casa d’altri!
Crede sia stata un'esperienza isolata, un'incursione unica, o ha in mente di replicare?
Visto si stampi è appena uscito e forse è ancora presto per fare progetti, ma vedremo. Qualche appunto c’è, ma sa meglio di me che qualche appunto c’è sempre.
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