Il dramma delle donne schiavizzate dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale
Storia della nostra scomparsa (Fazi, 2020 – traduzione di Stefano Tummolini) è il primo romanzo di Jing-Jing Lee, scrittrice di Singapore trapiantata ad Amsterdam, finora autrice di poesie e racconti, che ispirandosi ai racconti di famiglia sul periodo della Seconda guerra mondiale, quando la sua patria venne invasa dai giapponesi, affronta un tema quantomai delicato: il destino delle cosiddette “donne di conforto”, cioè le migliaia di donne, spesso quasi bambine o adolescenti, ma anche giovani madre di famiglia, che nel corso della brutale espansione dell’esercito giapponese in Oriente vennero strappate alle loro famiglie e rinchiuse in bordelli-prigioni per essere sempre a disposizione dei militari.
Molte di loro morirono nel corso della guerra a seguito delle sevizie subite, dei maltrattamenti continui, degli aborti, della malnutrizione e delle varie malattie; ma un destino forse ancora peggiore aspettava le sopravvissute, che molto spesso, tornando a casa, venivano ripudiate dalle famiglie e costrette a un’esistenza sottotono, quando non del tutto derelitta, nell’impossibilità di liberarsi da un marchio infamante. Solo in tempi recenti alcuni paesi, come la Corea del Sud, hanno cercato di mantenere vivo il ricordo del sacrificio di tutte queste donne rimaste per decenni nell’ombra, istituendo la Giornata mondiale per il ricordo delle “donne di conforto”, che è stata fissata il 14 agosto.
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Protagonista di Storia della nostra scomparsa è dunque Wang Di, che ad appena sedici anni, mentre sta per sposarsi, viene strappata al suo villaggio, ai genitori e ai fratellini dai giapponesi appena sbarcati a Singapore. Viene quindi rinchiusa in una “stazione di conforto” dove rimane per tre anni, privata di tutto, a partire dal suo nome che viene sostituito da un nome giapponese, ma soprattutto della sua dignità di donna e perfino della volontà di sopravvivere. Assiste impotente alla morte delle amiche e si augura di fare la stessa fine, ma il suo destino si rivela differente: sopravvive alla guerra e riesce a rifarsi un’esistenza relativamente serena, per quanto sempre tormentata dai ricordi.
La sua vicenda s’intreccia con altre due storie: quella di Chia Soon Wei, l’uomo che anni dopo la sposa, dopo aver perso i genitori, la giovanissima moglie e un figlio piccolo sotto un bombardamento giapponese; e quella di Kevin, un tredicenne curioso che, al principio del ventunesimo secolo, raccoglie una sibillina confessione dell’amatissima nonna moribonda. Le parole della donna lo porteranno a indagare con caparbietà sul passato, fino a chiarire un punto oscuro della storia familiare e a incrociare le vite di Wang Di e di Chia Soon Wei.
Sappiamo ormai quasi tutto sui crimini di guerra commessi in Europa dai nazisti, grazie anche ad iniziative come il Giorno della memoria, mentre continuiamo a ignorare gran parte delle atrocità commesse dai giapponesi, che negli stessi anni manifestarono altrettanta crudeltà nei confronti delle popolazioni sottomesse nel corso della loro espansione e dei prigionieri di guerra: ancora oggi, del resto, in Cina, in Corea, a Singapore rimane nelle persone più anziane un forte rancore nei confronti del Giappone a causa delle sofferenze subite durante l’occupazione.
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Il romanzo di Jing-Jing Lee rende omaggio a migliaia di vittime su cui è rimasto steso troppo a lungo il velo dell’oblio, intriso di vergogna e anche del desiderio di dimenticare una manifestazione così forte del livello a cui può giungere la crudeltà degli uomini: fra i molti libri che in questo periodo tornano a raccontarci episodi della Shoah, non sarebbe male riservare uno spazio a Storia della nostra scomparsa e alla tragedia delle “donne di conforto” ingiustamente dimenticate.
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