Il dottorato di ricerca: sta per cambiare qualcosa?
Il MIUR, come recita il suo acronimo, non si occupa solo di scuola, ma anche di Università e ricerca. Anche l'Università può essere rivista e riformata, a più di dieci anni dalla riforma sostanziale che ha introdotto il sistema dei crediti e della laurea triennale e magistrale (prima, specialistica) per quasi tutti i corsi di studio (fa eccezione, ad esempio, la facoltà di Medicina).
Lunedì, 27 gennaio, è stato emanato il documento di relazione finale redatto dalla Commissione di studio sul Dottorato, voluta dal ministro Carrozza nel luglio del 2013. La commissione è formata dalla professoressa Cristina Messa (Milano ‘Bicocca’), dal professor Paolo Rossi (Pisa) e dal Professor Alberto Tesi (Firenze). Scorrendo il documento, poche appaiono le novità sostanziali, anche perché la relazione si basa sull'esame di proposte possibili. Interessante è l'ipotesi che i dottorati vengano erogati solo dalle Università e non da altri enti, che possono comunque parteciparvi «in convenzione o in consorzio».
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Viene ribadita l'opportunità che i dottorandi senza borsa possano effettuare attività lavorative, data l'impossibilità di mantenersi in altro modo. La proposta più interessante sembra quella della realizzazione concreta dei dottorati industriali e in generale dei dottorati atipici, per esempio legati a progetti europei, più in linea con le esigenze comunitarie. Una maggiore flessibilità necessaria per rispondere alle esigenze specifiche dei singoli dipartimenti, come viene anche ribadito laddove si specifica la difficoltà di assegnare una nomenclatura unica a tutti i corsi di dottorato delle Università italiane. La logica, dunque, appare quella di un maggior rigore, ma al contempo del riconoscimento delle differenze specifiche.
Speriamo che il lavoro si traduca ora in una riforma dell'istituzione del dottorato di ricerca italiano, così ricca e importante, ma talvolta in balia di logiche particolaristiche.
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