“Il demone meridiano” di Andrea Morstabilini, un gioco tra la vita e la morte
Forse non è un romanzo, ma una leggenda al modo di Bécquer, questo primo libro di Andrea Morstabilini, Il demone meridiano, pubblicato da Il Saggiatore. O forse è un trattato sull’imbalsamazione allo stile di Goyon: magia, evocazione, tecnica. L’unica certezza, tra le pagine del libro, è l’assenza: quella delle mummie misteriosamente trafugate da un museo dedicato allo scienziato e un po’stregone Paolo Gorini. Quei corpi imbalsamati, sospesi tra «il movimento del morire», che appartiene al presente, e «la staticità della morte, che è sempre passato», sono la ragione di vita del loro custode e l’anima del romanzo. Per cercarli, riportarli al museo, adagiarli nuovamente dentro il vetro delle teche, tutto è lecito: invocare i vivi, i morti, le anime, la natura e i demoni.
Questo è un romanzo che va annusato e toccato, più che letto. Emana odori, effluvi, profumi, miasmi. Racconta di pelle, vene, sangue, capelli, viscere e della loro corruzione. Di un intimo desiderio di terra e di buio. E di non essere più cantati da un bardo, nemmeno da Shakespeare, Foscolo, Dante, o Goethe– sono tanti gli echi della grande letteratura che possiamo giocare a individuare nel libro-. Desiderio di nulla. Agli occhi del disperato conservatore di mummie, l’imbalsamazione restituisce il nulla, la felicità delle pietre: «Quell’infanzia coartata nella decomposizione che aveva imposta alla morte perché non solo non ci fosse più traccia del morire, ma neppure dell’aver vissuto».
Eppure le mummie si sentono private di quel nulla, continuamente esposte agli sguardi, alla luce, agli orari del museo, agli studi degli esperti e all’eccessivo attaccamento del loro custode. Non godono del riposo eterno dei morti, ma neppure della carnalità attiva della vita. Si ribellano, inscenano una vera rivoluzione, un tribunale da Direttorio francese, dove i morti processano i vivi e questo giudizio universale capovolto «per crimini nefandi contro la morte» non apre il regno dei cieli ma squarcia la pancia della terra. E così la messa di San Sicario prende il posto di quella dello Spirito Santo; una «scaccia la iettatura e tiene buoni i campi», l’altra si può dire solo con «gufi, pipistrelli e rospi e zingari e banditi».
La madre terra è in realtà una terra promessa, per questi corpi insepolti. E poi, dall’altro lato, la luna, il suo richiamo a ogni misteriosa attività notturna: «Non è strano anche che si possa dormire mentre la luna attraversa il cielo?». Di notte i cimiteri sono in fermento, i vicini di casa raccolgono melagrane dagli alberi, alcuni ragazzi salgono sulla torre del campanile per invocare uno spirito parlando una strana lingua inanellata di vocali. Occorrono candele, la Bibbia, un giglio fresco e «se senti che il coraggio ti viene meno, accosta l’orecchio alla mia lingua: non ho membra e tutta la mia forza sta lì». E poi:
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«Cenere e polvere, sangue, ossa e fibra, tessuto epiteliale, mescolandosi, si fanno molecola, sublunare leggera, materia interstellare, e poi altre stelle, nebulose globulari e galassie, cosmoliti vestiti di fiamme, pianeti e asteroidi, condriti di condrule e ghiaccio, chioma di cometa e coda, precipita a pioggia sul mare e la terra portata dal vento, salgemma e cristallo, basalto del fondo di oceani e fosse, cibo di squali e pesci lanterna, melanoceti, mastodontici regaleci raggiati, asce argentate soffuse di rosa, opah scarlatti, budeghi fronzuti, velenose chimere, cauliodi zannuti, neri sagrì invisibili, sauri feroci e fantasmi».
Se andava trovata una lingua in grado di descrivere il tempo eterno e di contenere il mondo, poteva essere solo questa, piena di sonorità lirica, ma anche di martellanti giambi, composta di liste infinite dei nomi e degli aggettivi che siamo. Una lingua che parla dell’uomo, del prima, di ora, del dopo e del sempre non poteva che abbracciare tutte le epoche dello scibile, il greco, il latino, ogni secolo fino a noi e oltre noi, quindi arcane formule in lingue magiche e sconosciute.
Esattamente come fa Bécquer, Andrea Morstabilini in questo libro riesce a tenere insieme elementi letterari legati alla tradizione popolare e di leggenda, mescolandoli abilmente alla fantasticheria dell’immaginazione poetica personale. E solo l’ultima riga svela il mistero di ogni scelta narrativa e sancisce la liberazione da quel «tiranno odioso» che è la chimica del corpo. Ma la storia, col suo corteo di personaggi quasi impalpabili, scivola oltre il punto finale e il lettore è libero di seguire il proprio demone e continuare la seduta spiritica in loro comunione. È avvertito, però: «Crudeli gli spiriti, criminosi gli astanti, corrotti i medium, sta scritto: chi varca la soglia di una congrega, non può che aspettare e temere di trovarsi ubi est nullus ordo, sed sempiternus horror inhabitat, tra una società abietta, malvagia, malefica».
E se una sola leggenda non bastasse, Il demone meridiano di Andrea Morstabilini ci svelerà la formula per chiamare Bécquer in persona a testimoniare nel prossimo sinodo di anime.
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