Il cuore di Susanna Tamaro? Pensante
A distanza di poco più di un anno ho la possibilità di incontrare di nuovo Susanna Tamaro.
L’occasione è l’uscita per Bompiani di Un cuore pensante, raccolta di pensieri e domande che la scrittrice si pone (e ci pone) sulla fede, la sessualità, l’ambizione e il bisogno di riconoscimento che l’essere umano cerca durante tutta il suo percorso sulla Terra. La ricerca di una chiave di lettura del mistero della vita era la molla che aveva fatto nascere anche Illmitz (romanzo scritto dalla Tamaro negli anni Ottanta, ma pubblicato solo nel 2014).
Possiamo dire che con quel libro ha messo a terra il primo mattone su cui questa raccolta di pensieri continua a costruire?
Un cuore pensante è in qualche modo la mia autobiografia spirituale e raccoglie tutte le domande che mi sono posta con i miei libri precedenti e quindi condivide anche con Illmitz il tema della ricerca. Ricerca che trova le sue radici nelle età più acerbe e immaginifiche dell’essere umano: la fanciullezza e l’adolescenza. Spesso l’uomo crescendo smarrisce queste domande, le archivia senza trovarvi una risposta. Uno scrittore è una persona che continua a porsele senza temere la risposta.
Ci sono delle domande che si è posta e rimangono ancora senza risposta?
Sì, tantissime e più vado avanti nel mio percorso più è difficile capire, ma continuo a porle.
Uno dei temi principali di Un cuore pensante è la fede. La ricerca, i dubbi, il rifiuto, le paure che accompagnano chi non accetta un’idea come dogma ex ante ma s’interroga sul suo significato. Perché è importante oggi parlare di fede e quanto vanno d’accordo fede e domande?
È molto importante perché le persone che sono addette a farlo per ruolo spesso non sanno farlo. È difficile per esempio che un prete racconti alla sua parrocchia com’è arrivato alla conversione. Un prete non nasce tale e l’illuminazione non è un pacco dono che arriva all’improvviso. Penso che nessuna decisione arrivi all’improvviso e che l’essere umano s’interroghi costantemente su se stesso e sul significato del percorso che sta compiendo. L’uomo è l’unico animale consapevole della morte e questa consapevolezza ci immerge in un universo di domande. Credo che scrivere nasca proprio dall’esigenza di trovare un modo per orientarsi nel caos della vita.
Nel suo libro il tema del desiderio d’integrazione affiora più volte. Anche lei descrive la sua esperienza di bambina diversa, «un’antenna coi fili scoperti», la cui aspirazione suprema era passare inosservata, ma in quel desidero di isolamento era celata la voglia di sentirsi parte di un gruppo. Mi viene in mente la felicità che lei descrive quando riceve in regalo il completo da cow-boy con il suo nome inciso sulla pistola o il costume da carabiniere. «Indossare una divisa voleva dire comunque aderire a un ordine, cosa di cui sentivo estremo bisogno, ed essere disponibile a combattere per quell’ordine». È questo che cercano oggi le persone quando s’iscrivono ossessivamente ai gruppi su Facebook, un ordine a cui aderire?
Penso proprio di sì. E penso che siano anche tempi migliori per le persone timide e introverse che possono entrare in contatto con gli altri con maggiore facilità. È nella nostra natura di esseri sociali riconoscerci in un gruppo. Io non sono una grande frequentatrice dei social network, ma capisco che possano aiutare a superare l’impatto di confrontarsi con una persona che non si conosce senza doverla guardare in faccia, senza parlare con lei a telefono. Bisogna però stare attenti a fare il passo successivo, arrivare sempre alla comunicazione sincrona, altrimenti l’appartenenza a un gruppo è solo illusoria.
In una delle sue riflessioni Desidero e quindi sono introduce il concetto della «forzata genitalizzazione» dell’uomo. La fisicità e la sessualità che da essa derivano identificano il nostro modo di porsi nei confronti degli altri esseri umani, i nostri gusti, le nostre aspirazioni e rivendicazioni. Bisogna capire cosa e come si è e poi agire di conseguenza e se il nostro corpo non è in linea con la nostra idea di fisicità lo si cambia. Quali rischi porta con sé questo?
Io penso sempre che si debba parlare di persone e non di sessualità, ho molti amici di cui non conosco le scelte sessuali e questo non me li rende certo meno comprensibili. A me non interessa la sfera sessuale delle persone che frequento, né penso che la scelta sessuale identifichi il carattere o le passioni di una persona. La società oggi riduce tutto alla dimensione sessuale generando grande infelicità fra gli adolescenti. I rapporti sono improntati o alla brutalità del branco che sopraffà o alla solitudine in cui non si è nella condizione di vivere quella palestra di esperimenti che c’era con l’altro sesso quando io ero adolescente. Momenti interlocutori, sperimentali e graduali che oggi non esistono più. C’è il diktat della sessualità immediata, come unico decisore dei rapporti umani. La sessualità è una parte molto importante dell’uomo, bellissima, ma va vissuta nella libertà e nella pienezza delle sensazioni che non si limitano solo alla sfera genitale.
Il tema della sessualità è molto presente anche in politica e lo si usa per attaccare o rafforzare alcune posizioni difficili ancora da accettare in Paesi come l’Italia. Penso ad esempio al tema dell’adozione per le coppie delle stesso sesso. Tutto parte e ritorna alla sessualità delle due persone che vogliono adottare un bambino, trascurando le caratteristiche che dovrebbero avere come genitori a prescindere dalla loro inclinazione sessuale. Qual è la sua opinione in merito?
Io sono d’accordo all’adozione per le coppie omosessuali. Due persone dello stesso sesso possono volersi un bene immenso e un bambino che si trova in un momento difficile, privato dell’affetto dei genitori, troverebbe maggiore giovamento e serenità a vivere con una coppia omosessuale unita e affettuosa piuttosto che in una casa famiglia. Tutti gli esseri umani quando si amano nella libertà e serenità producono un amore che fa crescere loro e chi gli vive accanto.
Cosa pensa della polemica sulla proscrizione dei libri per l’infanzia attivata dal sindaco di Venezia perché potrebbero dare un’immagine dei rapporti umani non corretta al pubblico infantile?
I libri non andrebbero mai vietati. Io scrivo libri per bambini da più di vent’anni e so che influenzare un bambino nelle sue scelte in fatto di lettura è molto più difficile che farlo con un adulto. I bambini sanno scegliere i libri in assoluta libertà e la selezione avviene da sé, senza necessità di aiuti esterni.
Uno dei tratti che preferisco nelle sue narrazioni è l’inquietudine. In Un cuore pensante lei la descrive come «un gomitolo nero che saettava attorcigliandosi intorno alla gola e al mio diaframma cercando di soffocarmi», un gomitolo che genera dolore, ma anche domande e crescita. Un gomitolo che lei immagina possa sparire in futuro in un sistema di perfezione genetica fisica e mentale. Davvero andiamo incontro a questo pericolo?
Pensiamo alla quantità di bambini sottoposti a cure a base di psicofarmaci. Molti hanno l’unico difetto di essere inquieti. Se fossi una bambina di oggi sarei stata bombardata di medicinali per rendermi uguale agli altri. La società ha il terrore dell’inquietudine e la medicalizza immediatamente perché non vuole persone inquiete.
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Perché tanta paura?
Perché quest’ordine ossessivamente deterministico ed efficientistico in cui viviamo non contempla la dimensione dell’uomo legata all’inquietudine e alle domande che essa porta con sé. Le domande sono viste come un segno di fragilità. La società ci mette di fronte a una serie di miti (il successo, la perfezione estetica, il denaro), miti che vanno accettati come dogma e che non si può neanche pensare di mettere in discussione. Tempi duri per gli inquieti.
Uno dei passaggi che mi ha colpito di più è quello intitolato Lupi e agnelli. Lei scrive che «la mitezza, la profondità dell’animo attirano attenzioni perverse di chi di quelle qualità è privo. […] Il mondo dei forti desidera sempre cancellare il sospetto che esista un modo diverso dal proprio di porsi in relazione con l’altro.» Mi ha fatto pensare al libro di J.M. Coetzee Aspettando i barbari. Il romanzo di Coetzee fa vedere che in ogni branco c’è qualche diverso camuffato, qualcuno che può incrinare il sistema dall’interno. Pensa che questo possa accadere anche nella nostra realtà o la diversità ha i giorni contati?
Speriamo che possa accadere. Una speranza caparbia che abbiamo nel cuore per noi che siamo agnelli.
Perché è un disvalore essere agnelli?
Perché viviamo con il mito dell’efficienza a tutti i costi. Tutto dev’essere efficiente e al meglio per sopravvivere in un’ottica neodarwinista come quella in cui siamo immersi. Non si può invecchiare, non si può dubitare, non si può cambiare idea, tutte cose che fanno perdere tempo ed efficienza. I soldi sono l’unico sistema di valori e monetizziamo tutto e se non è monetizzabile non serve.
La morte lei scrive «è un ragno che sta in un angolo e aspetta.» E allora perché rispettare un sistema di regole etico o religioso se la destinazione è la stessa per tutti? Perché non adeguarci tutti all’efficienza?
Certo, da questo punto di vista potremmo tutti adeguarci, puntando al massimo, magari facendo la carriera del camorrista ricco e potente, così ci godremmo la vita. Ma la domanda è proprio questa: cosa vuol dire godersi la vita? Per me sarebbe impossibile godersi la vita facendo quel tipo di scelta. Noi essere umani siamo più felici se viviamo una vita positiva fatta di rapporti con gli altri improntati alla crescita e non all’odio e alla paura.
Il titolo del suo libro si riferisce a una frase di Etty Hillesum, scrittrice ebraica olandese che ha vissuto l’esperienza dei campi di concentramento negli anni Quaranta: «Lasciate che io possa essere il cuore pensante di questa baracca». Come mai ha scelto questo titolo?
Ho letto Etty Hillesum negli anni Ottanta del Novecento. Mia nonna era molto appassionata di questa scrittrice e mi propose di leggerne i diari. Per me fu una folgorazione ed Etty è rimasta una compagna fedele per tutta la vita. Era una grandissima scrittrice e pensatrice, morta prima dei trent’anni ad Auschwitz. I suoi libri sono di una straordinaria attualità, perché guardano all’Europa ipotizzando quello che poi sarebbe accaduto e che sta accadendo e lo fanno con la mente e soprattutto il cuore liberi. È per questo che mi pacerebbe diventare il cuore pensante della nostra baracca, il mondo in cui viviamo.
Lei ha detto che il senso dei libri è porre domande, quali sono i libri che le hanno posto le domande più ardue cui trovare una risposta?
Ho avuto pochi libri che mi hanno veramente formato, fra questi sicuramente i Diari di Kafka, la lettura che mi ha influenzato di più dal punto di vista letterario.
So che soffre d’insonnia e legge trattati di agraria per conciliare il sonno e che spesso non funziona. C’è un libro che non leggerebbe mai di notte per paura che la tenga sveglia?
Ho letto da poco il secondo libro di Donna Tartt che s’intitola Il piccolo amico. Un libro splendido che ho trovato su una bancarella un po’ di anni fa ed era rimasto nella mia libreria ad aspettarmi. È uno di quei libri che ti porta a tornare presto a casa pur di continuare a leggerlo e a rallentare la lettura quando sei vicino alla fine della storia. Ho letto poi anche libro di uno scrittore malese Tan Twan Eng Il giardino delle nebbie notturne, ambientato in Malesia dagli anni Cinquanta ai nostri giorni, un libro che mi ha risucchiato.
Ci sono molti libri che passano inosservati o quasi nel panorama editoriale italiano, anche a causa della quantità di nuove uscite giornaliere o delle scelte promozionali delle case editrici, se la sente di citare qualche autore che meriterebbe maggiore attenzione?
Sì, certo. Mi viene in mente Orrore Vesuviano di Francesco Costa, scrittore generoso e capace, che si è fatto conoscere negli anni Novanta con La volpe a tre zampe. Avrà scritto più di una decina di libri interessanti e non se ne parla abbastanza. Purtroppo o si entra in quel gruppo di pochi eletti che hanno l’onore dei titoli o si rimane in un limbo. Ci sono molti scrittori che semplicemente non esistono. Produrre tanti libri brutti ha fatto malissimo alla base di lettori italiani e al mercato editoriale. È come se a volte l’editoria inseguisse il successo per assonanza del titolo più che per valore del contenuto, ma i lettori non sono stupidi. Anni fa ho letto il libro di Khadra Yasmina Quel che il giorno deve alla notte, storia di un’educazione sentimentale ambientata in Algeria, un libro meraviglioso. Se lo avessero lanciato con un’adeguata promozione avrebbero creato un best seller, offrendo anche un’ottima storia unita a una pregevole prosa. Invece non hanno investito su questo libro, preferendo promuovere testi di gran lunga più poveri per ritmo, struttura e stile. Ma questo chi avvantaggia? Non il lettore che si disamora e nemmeno la casa editrice che, promuovendo testi di qualità, potrebbe garantirsi ricavi di medio periodo più stabili. Non capisco.
Ringraziamo Susanna Tamaro per aver condiviso con noi le domande del suo cuore, sperando che anche il nostro non smetta mai di pensare.
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