“Il confine” di Silvia Cossu, una linea immaginaria tra realtà e finzione
È Il confine il nuovo romanzo di Silvia Cossu, edito da Neo. Edizioni; un’esperienza ai limiti della mente in cui realtà e finzione, pagina dopo pagina, sfumano a tal punto che la linea di demarcazione – quel confine che dà il titolo all’opera – fugge via inesorabilmente.
Silvia Cossu è al suo quarto romanzo. A La vergogna – dal quale è tratto il film L’ospite, di cui l’autrice è anche sceneggiatrice e produttrice – segue L’abbraccioe, nel 2013, un memoirpubblicato sotto pseudonimo. Inoltre, nelle raccolte I racconti delle fate sapienti, edito da Frassinelli nel 2005, e Pensiero Madre, da Neo. Edizioni nel 2016, sono presenti due suoi racconti. L’autrice non si occupa solo di narrativa ma altresì di scrittura cinematografica; infatti, oltre al già citato L’ospite, ha curato le sceneggiature di Fino a farti male (2005), Crushed Lives – Il sesso dopo i figli (2015) e ha collaborato al documentario Tutte le donne di Fassbinder (1997).
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Con Il confine la scrittrice si lascia trasportare dal fascino della psichiatria, dell’inconscio e del subconscio, del sogno e delle terapie cognitive attraverso l’esperienza di una biografa che per vivere si occupa di scrivere i ritratti – veri certo, ma solo in ciò che il committente vuole davvero mostrare – dei suoi clienti. La protagonista, di cui ignoriamo il nome, racconta, in una narrazione divisa in due parti, l’incontro avvenuto, cinque anni prima, con un facoltoso psichiatra, che la ingaggia proprio per scriverne la biografia. Tentata da un personaggio così affascinante, la protagonista accetta ben volentieri ma ben presto si rende conto che questa biografia non può scriverla, a cuor leggero, come tutte le altre. Lei che è abituata per soldi a narrare solo ciò che i suoi clienti vogliono mostrare, si ritrova, suo malgrado, a rincorrere la “verità”. È questo che il suo committente le chiede: la verità a ogni costo. Ma qual è quest’agognata verità? Il romanzo procede con il ritmo del thriller e per un attimo temiamo anche per l’incolumità della protagonista quando il piano del sogno e del reale si assottigliano a tal punto da costringere il lettore a barcamenarsi tra ciò che esiste solo nella mente e ciò che è autentico.
Mosco, questo il nome del misterioso committente, è uno psichiatra dalla carriera invidiabile costruita seguendo un metodo innovativo:
«Mi spiega che con i pazienti da quarant’anni si regola facendo attribuire loro, il primo giorno, un valore alla propria guarigione, che poi diventa “dovuto” soltanto a fine terapia, una volta accertato il beneficio ottenuto. In caso d’insuccesso, blanda o solo parziale guarigione, l’onorario non matura. Né gli è mai capitato un paziente, per quanto considerevole possa essere la cifra inizialmente stabilita, che al termine non l’abbia pagato.»
Eppure c’è qualcosa che non torna. La protagonista raccoglie materiale per la sua opera durante i numerosi incontri con il dottor Mosco ma il controllo sulla materia le sfugge ed è a questo punto che comprendiamo la subdola abilità di manipolatore dello psichiatra. Ed è qui che capiamo l’altrettanto efficace capacità dell’autrice di lavorare sulla psicologia dei personaggi oltre alla bravura nel mettere su un’atmosfera onirica soffocante che annienta, a lungo andare, la psiche della protagonista, facile preda del metodo di Mosco. Cos’è reale e cosa è sogno? E proprio il sogno sembra essere il filo conduttore di tutta la narrazione, dal titolo omonimo del film pornografico di Irma, amica dello psichiatra e figura particolarmente inquietante, ai momenti in cui la biografa si assopisce e sembra sprofondare in una realtà surreale disegnata da Salvador Dalí per Alfred Hitchcock:
«Quando mi passa accanto, noto il grigio quasi blu dei suoi occhi. Lo ritrovo una ventina di metri più avanti, il passo che sfiora la corsa. La risoluzione del condannato che si dirige al patibolo. Avanza in direzione del sole, cammina rasente ai muri, la luce oscura la sua figura da dietro, ed è a questo punto che due braccia lo afferrano tirandolo dentro un portone. Quando raggiungo l’antro, mi arriva un urlo strozzato, voci alterate, un colpo. Un paio di occhiali rotola a terra. L’uomo è bloccato contro il muro. Un’ombra lo colpisce. Nessuno che possa intervenire.»
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E poi anche il rapporto che si instaura tra la biografa e il senzatetto, verso cui lo psichiatra la spinge, in questa partita in cui a muovere le pedine pare essere solo Mosco, è strano e pieno di interrogativi. Ma soprattutto la “verità” che la biografa deve a tutti i costi cogliere, di chi è? Dello psichiatra di cui deve tracciare il profilo oppure è la sua, da rintracciare dentro se stessa?La narrazione procede come se la biografa barcollasse sempre più all’interno della classica casa degli specchi del luna park e, a ogni angolo, la sua ombra la facesse trasalire. Mentre arranca, matura la consapevolezza di aver preso parte al gioco di Mosco e infatti al lettore lo rivela subito, quando decide di raccontare la sua vicenda. Eppure solo al termine del romanzo, quando la nebbia si dirada, la consapevolezza giunge anche al lettore ed è una rivelazione.
Il confine di Silvia Cossu è tra i libri proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega, perciò non resta che augurare all’autrice, che ha giocato a spingersi ai limiti della psiche lasciandoci piacevolmente turbati, buona fortuna.
Per la prima foto, copyright: Bruce Christianson su Unsplash.
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