Il caso del Teatro dell'Opera di Roma: un deficit lungo una vita
Il 21 novembre è apparso su L'Unità.it un articolo, a firma di Luca Del Fra, che denunciava la grave situazione economica del Teatro dell'Opera di Roma. La cattiva gestione della struttura potrebbe portare a un commissariamento, che rischia di coinvolgere il direttore onorario dell'Opera, Riccardo Muti.
In particolare, venivano messe in risalto le dichiarazioni di un altro noto quotidiano nazionale, il «Corriere della Sera», il quale dapprima aveva celebrato la qualità del teatro, dove «si riuscivano a fare settanta assunzioni senza gravare sull'erario», e, in seguito, aveva denunciato un deficit di quasi trenta milioni di euro e la possibilità del commissariamento. Dal Teatro dell'Opera non è giunta nessuna comunicazione ufficiale che fornisca cifre e dati precisi, ma i responsabili si sono limitati ad asserire che ci sarebbero dei ritardi nell'erogazione dei contributi da parte del Comune e della Regione.
Ed è proprio questo il fatto più scandaloso: l'Opera di Roma è uno dei teatri italiani che gode di finanziamenti pubblici, grazie a un versamento annuale da parte del Comune di circa 20 milioni di euro. Il più coinvolto nel processo sembrerebbe essere proprio Muti, chiamato in causa da Bruno Vespa (vicepresidente del teatro) e Catello De Martino (sovrintendente), ma c'è chi giura che il maestro sia stato utilizzato come «parafulmini» per proteggere gli altri due dalle pesanti critiche dell'ultimo periodo.
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In conclusione, è probabile che presto avvengano dei cambiamenti all'interno dell'ente stesso, anche se lo strumento del commissariamento non è visto di buon occhio, in quanto causa, in altri frangenti, di peggioramenti più che di risoluzioni: emblematico, in tal senso, fu il caso di Giampaolo Cresci, ex sovrintendente dell'Opera di Roma, il quale, dopo aver accumulato negli anni Novanta un enorme ammanco, venne poi nominato commissario di se stesso, con il risultato di un ulteriore passivo a cui si è sommato quello attuale.
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