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Il Brasile visto da un italiano. Intervista ad Alberto Riva

Brasile, Alberto Riva[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 5/2013, La gioia dell’incontro]

Alberto Riva ha vissuto diversi anni in Brasile, Paese che continua a frequentare come giornalista e
scrittore, collaborando, fra l’altro, con il Venerdì di «Repubblica» e «Linkiesta», o semplicemente affidando le sue note varie di cultura e attualità (non solo brasiliana) al blog L’Osservatore Carioca. Nel 2008, ha pubblicato un lungo reportage su Rio de Janeiro (Seguire i pappagalli fino alla fine, ilSaggiatore); nel 2011, è uscito Sete (Mondadori), romanzo la cui azione attraversa il Brasile in lungo e in largo.
Sul Romanzo ha parlato un po’ del suo lavoro in un articolo dedicato a Oscar Niemeyer, pubblicato qui.

Quanto c’è di giornalistico e quanto di fittizio nella trama di un romanzo che si snoda all’interno della guerra per quello che è già stato ribattezzato il “petrolio” del futuro, cioè l’acqua?
Sete attinge dalla cronaca, sia brasiliana che internazionale, e si muove poi su una trama completamente di fantasia. Di tutti i personaggi presenti nel romanzo, l’unico che ha un nome e cognome reali è Don Cappio, il vescovo francescano di una diocesi della valle del Rio São Francisco che ha realmente fatto lo sciopero della fame contro il progetto di drenare acqua dal fiume per ridistribuirla nei territori del semi-arido brasiliano. Progetto non sbagliato nei principi, ma oscenamente svolto nella pratica, per altro mai portato a termine, con sprechi e disagi inenarrabili per le popolazioni.
Mi sembrava, e credo lo sia realmente, una figura emblematica: un singolo uomo che si carica sulle spalle una questione che attinge  interessi enormi, decisioni che vengono prese molto distanti da lì.
Mi interessa questo tipo di meccanismo. Che poi è il meccanismo del capitalismo finanziario internazionale, il cui obiettivo è unicamente il profitto.
Spesso si tratta di una tragedia i cui personaggi non si conoscono nemmeno tra loro, ma l’azione di uno (mettiamo svoltasi a Ginevra) ha effetti sulla vita dell’altro (che supponiamo si consumi in un villaggio sperduto in Sud America).

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Estrapolo dal libro un paio di frasi che sono certamente il frutto di una conoscenza giornalistica, o comunque di un’esperienza diretta della realtà brasiliana:  «Stando alle royalty generate dalla produzione di elettricità della diga, il comune avrebbe dovuto rappresentare una eccezione di ricchezza in quella landa desolata nell’entroterra baiano»... oppure: «Il Brasile è uno dei paesi dove l’educazione dei figli è tra le più care al mondo». Cosa c’è dietro quest’onda positiva dell’economia brasiliana, che nell’Europa in fase di impoverimento viene spesso additata come esempio di successo?
La crescita economica brasiliana, che ha impressionato gli economisti e i giornalisti in questi anni, è dovuta al forte aumento della domanda interna e, in parte, alle esportazioni di materie prime innanzitutto alimentari (carne, soia, latte, arance, mais e risorse del sottosuolo: in una parola, la terra).
La politica di inclusione sociale promossa dai due governi Lula (2002-2006 e 2006-2010) e, in parte, dall’attuale amministrazione Rousseff ha traghettato nei consumi circa 30 milioni di Brasiliani che prima non esistevano in quanto consumatori: li ha resi cittadini (fornendo, spesso per la prima volta, i documenti e il libretto di lavoro, un conto in banca e una carta di credito), trasformandoli, però, prima di tutto in nuovi clienti. In Brasile, il voto è obbligatorio e, dunque, ha forte efficacia il meccanismo del voto di scambio: le classi povere urbane sono manipolate come serbatoi elettorali in cambio di regalie sotto forma di programmi sociali. Il meccanismo è stato esteso in questi anni alle campagne, che in Brasile sono vastissime. Recentemente, con le proteste di piazza dello scorso giugno in occasione della Confederation Cup, si è visto come questo modello sia ora entrato in crisi, a causa del costo della vita sempre più alto e di un servizio pubblico deprecabile: educazione, sanità, trasporti, giustizia e sicurezza sono in Brasile ancora largamente al di sotto della decenza. Se si vuole avere un servizio di buon livello bisogna rivolgersi al privato che, protetto da lobby fortissime in parlamento e al governo, gode di ampio spazio di manovra ed è capace di condizionare e indirizzare il mercato.

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