“Il bacio dell’Assunta” di Giovanni Cocco
Sono stati fatti numerosi paragoni per provare a definire o inscatolare Il bacio dell’Assunta di Giovanni Cocco, uscito nel marzo scorso per Feltrinelli, nella collana I Narratori. Dall’accostamento, forse un po’ troppo ottimistico, con Piero Chiara, interprete sopraffino e gustoso del bozzetto, a quello, più onesto e proprio, con Andrea Vitali, il romanzo di Cocco, vale la pena dirlo subito, è una prova onesta, di piacevole lettura, che non propone spunti narrativi di altissimo profilo ma gioca la carta, sempre efficace, del gusto, autentico, genuino, di raccontare una storia.
La vicenda al centro del romanzo non mancherà di fare echeggiare, soprattutto per gli amanti di quel giallo che potremmo definire “di provincia” (si veda l’interessante Marco Malvaldi), suggestioni già esperite con soddisfazione, squadernamenti narrativi da rintracciare con rapidità e dei quali assaporare ancora una volta il rassicurante aroma. La narrazione di Cocco, infatti, ruota attorno al furto di una statua della Madonnina dalla chiesa di un paese. Per le vie del piccolo centro si avvicendano numerosi personaggi: da Angela Bordoli, maestra e organista, la prima a entrare “in scena”, al parroco don Luigi, dal giornalista Carlo Frigerio fino al comunista Bernasconi. Ciascuno di loro come parte di un organismo più grande, per quanto ridotto nelle dimensioni, il paese, per l’appunto, all’interno del quale è inevitabile che ogni storia si colleghi a ogni altra, o quasi.
Giovanni Cocco, che si era già messo in luce con il suo romanzo d’esordio, La caduta, finalista al Premio Campiello nel 2013, risulta efficace nello stendere il suo affresco con senso della coralità e ritmo frenetico. In ciò non è indifferente la suddivisione di massima del romanzo, che segue le quattro stagioni, a partire dall’autunno, aggiungendovi prologo ed epilogo, a formare un testo rapido e asciutto, con capitoletti agili e parecchio “cinematografici”.
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Qual è, dunque, il limite più evidente, e importante, di questa “operazione”? Con tutta probabilità, la sotterranea sensazione di essere presi per mano e accompagnati alla scoperta di personaggi di cui si è già letto in passato, e a più riprese. Sia detto con chiarezza: non è da considerare necessariamente un difetto; basterebbe, per spezzare una lancia a favore dell’utilizzo reiterato di determinati stili, stilemi e ambienti, addurre la vicenda di conclamata, e remunerativa, elefantiasi giallistica di Andrea Camilleri, che pure, stando alla sua lunga e variegata carriera, non nasce come giallista (ma neanche come romanziere tout court, in verità).
A mio modo di vedere, se il whodunit può avere ancora, nell’anno di grazia 2014, una sua valenza, e a patto che possa davvero averla, dovrebbe fare riferimento a una rediviva inventività linguistica, oltre ad affidarsi senza remore alla sperimentazione tematica e alla contaminazione fra generi. Come dire che di Agatha Christie ce n’è una sola. Per non parlare di Georges Simenon, poi.
Alla fine dei conti, della lettura de Il bacio dell’Assunta, rimangono da un lato il solido mestiere narrativo di Giovanni Cocco, una certa vocazione all’incedere “da schermo”, l’estrema semplicità di lettura; dall’altro, una galleria di personaggi più che tipica, senza sobbalzi di sorta e, sebbene a livello più spicciolo, una elevata prevedibilità nello svolgimento.
Potrebbero essere proprio queste le carte vincenti de Il bacio dell’Assunta?
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