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Ibsen: un nemico del popolo?

[Articolo di Lorena Martinelli, pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 4/2012 Intellettuali e Potere]Henrik Ibsen, Nemico del popolo

Lo dobbiamo alle sfortune in campo commerciale del padre e alla freddezza con la quale la Norvegia accolse le sue prime opere, se Ibsen venne successivamente considerato come il più profondo interprete dei conflitti morali e sociali della coscienza moderna.
Henrik Ibsen nacque nel 1828 in una famiglia di commercianti che conobbe ben presto la miseria. Il ragazzo, quindicenne, fu costretto a lavorare come aiutante in una farmacia di Grimstad, accantonando i sogni di diventare pittore. Furono, questi, anni d’una solitudine riottosa, meditativa, interrotti soltanto da riunioni con coetanei, tra cui Henrik si distingueva per il suo sarcastico anticonformismo.
Nonostante gli inizi difficili e dopo una breve parentesi giornalistica, Ibsen venne prima nominato direttore artistico al National Theater di Bergen e successivamente, dal 1857 al 1864, direttore artistico al Norske Theater di Cristiania. Quest’ultima si rivelò un’esperienza fondamentale nella sua formazione intellettuale, perché maturò in lui la decisione di fornire una drammaturgia nazionale alla Norvegia, priva a quel tempo di autonome tradizioni culturali.
Ibsen avvertì fin dall’inizio il suo impegno di scrittore come missione pedagogica e sociale e ne visse tutte le conseguenze, sino alla disillusione finale.
Grazie a una pensione di Stato, si trasferì in Italia, dove scrisse i suoi primi capolavori: Brand (1865) e Peer Gynt (1867). L’incomprensione con cui fu accolto in Norvegia quest’ultimo dramma condusse l’autore a una crisi da cui nasceranno le grandi opere della maturità. Preso dalla rabbia e dallo sconforto, scrisse all’amico Bjornson: «Il mio disegno è questo, darmi alla fotografia. Farò posare i miei contemporanei, uno per uno, davanti al mio obiettivo. Ogni volta che mi incontrerò in un’amica degna d’essere riprodotta non risparmierò né un pensiero né una fuggevole intuizione appena mascherata dalla parola. Non risparmierò nemmeno il piccolo nascosto nel seno della madre»1.
Nasce qui la grande drammaturgia borghese, destinata a concludersi nell’opera di Cechov e di Pirandello.
Ibsen attacca la società contemporanea in forme esplicitamente satiriche, ma più spesso la indaga nel segreto della psicologia individuale, dove si nasconde il compromesso tra l’autenticità della vita e la menzogna di regole di comportamento passivamente subite.
Lasciata l’Italia nel 1868, fino al 1874 si stabilì a Dresda; dopo un breve ritorno in patria, dal 1875 al 1891 visse tra Roma e Monaco, periodo caratterizzato da una fecondissima produzione: Le colonne della società (1877), Casa di bambola (1879), Spettri (1881), L’anitra selvatica (1884), Villa Rosmer (1886).
Nel 1891, Ibsen ritornò in patria dove, prima della paralisi che lo lascerà vegetare per sei anni, scrisse i suoi ultimi drammi: Il costruttore Solness (1892) e Quando noi morti ci destiamo (1899), dramma di un vecchio artista che si scopre non solo inutile, ma colpevole, quando si accorge di aver tradito la vita e le sue leggi in nome di un tirannico impegno intellettuale, a cui tutto era stato sottomesso.
Nella sua vasta produzione fu soprattutto con Un nemico del popolo (1882) che Ibsen mise in pratica gli intenti che, anni prima, aveva confidato all’amico Bjornson. Questo dramma venne visto come l’aspro ritratto di una società perfettamente omogenea nel suo spregevole meccanismo; unitaria nel suo tessuto sostanziale al di là delle seppur appariscenti tensioni ideologiche; pronta a difendersi globalmente nei suoi reali interessi.

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1) Henrik Ibsen, Vita dalle lettere, trad. di Franco Perelli, Iperborea, Milano 1995.

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