“I Vangeli” di Pietro Citati, il tormento dell'infinito
Tutti noi, come i personaggi de I Vangeli di Pietro Citati (Mondadori), vorremmo essere ammantati di letteratura, compiaciuti dei nostri stessi splendori. Così accade ai racconti evangelici riportati da Citati, perfettamente confezionati, in cui la prosa intrisa della sottile fede del critico è anche coscienza della crisi ermeneutica della civiltà occidentale contemporanea. Possiamo solo immaginare la mente splendida di un evangelista che organizzava, conteneva una conoscenza mimetica dell'Antico Testamento, dei Salmi, del Pentateuco.
La curiosità di Citati è inesauribile, trascorre le storie più vive dei Vangeli con le prospettive di tempi infinitamente toccati dalla grazia e dalla condanna che già Pasolini sperimentò, anche cinematograficamente fino all'ossessione (Il Vangelo secondo Matteo del 1964, di recente riabilitato dall' «Osservatore romano»), rispondenti, nella Palestina romana, a un bisogno profondissimo di conoscenza.
Nei Vangeli si rincorrono citazioni e richiami più profondi della sacralità superficiale del testo, un intrico di misteri che si cerca di sciogliere. La croce del Calvario, il mistero di ogni trionfo, «la luce vera» di Giovanni, «che illumina ogni uomo». Il primo motivo di Citati è la simpatia, lo scatto di sentimento verso i Vangeli e verso Gesù, personaggio vitale, contraddittorio, ricco di istinti ponderati. San Paolo, difficilissimo per Citati, «raccoglieva sotto un capo, in Cristo, tutte le cose», così i Vangeli il Cristo lo ricollocano nella rotondità della scrittura e nella felicità di tramandarlo agli esegeti più impegnati.
É il Dio che invocato promette salvezza. Una stella distante, non variabile, della modernità, di tale natura appariva anche al Figlio e agli apostoli. La segreta cifra sentimentale di Gesù è straziata dalle contrapposizioni: qui Satana agisce, come nell'errare nel deserto, qui il male prende l'iniziativa («Gesù venne tentato non come Messia, ma come Figlio di Dio: nella parte umana della sua natura di Figlio di Dio»). Non c'è tuttavia morte, passione, resurrezione senza comprensione, la comprensione universale che scioglie il ruolo umano del Cristo.
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La religione di Citati, come quella sentita dal singolo, abbraccia il futuro, la dimensione che corre alla fine dei tempi fino al compiersi consolatorio del Paraclito («il Paraclito resta un dono sempre futuro: ciò che è vero di tutta la rivelazione cristiana»). La statura letteraria dei Vangeli consiste perciò nel ripetersi infinitesimale nei tempi, per cicli biologici: oggi nel buio, domani nella luce, come le grandi opere estenuate per la lettura che se ne è fatta, riposano con la potenzialità intrinseca di rifiorire. Il Gesù tragico della crocefissione, del Getsemani appassiona, il compatimento scaturisce necessariamente dall'assolutezza della tragedia, sempre possibile. Possibilità e assolutezza schiacciano e intimoriscono in proporzione alla mancata assolutezza umana, non esiste limitazione e limitatezza.
Unicità e assolutezza sono perni anche della nascita del Cristo nella mangiatoia e della figura di Maria, «grandissima invenzione del Vangelo di Luca». Sono personaggi soggetti della materia storica, ma al contempo oggetti della predicazione cristiana, memorie degli apostoli che combinano il messaggio della salvezza e sentimento della collettività.
Citati ragiona anche di infinito, senza riscontrare malati, come già fatto di recente, ma tormentati. I personaggi che attorniano Gesù sono tormentati dall'infinito e li applaudirebbe Georges Sorel per cui «quello che di migliore v'è nella coscienza umana è il tormento dell'infinito». Conoscono contromisure ma sono illuminati dall'amore di Dio, che a sua volta è in tutto, esclusivamente, amore e come amore, attrazione, anche nel silenzio: «sebbene Gesù avesse preannunciato la propria passione, la preghiera inascoltata nel Getsemani, il silenzio di Dio, l'abbandono e quasi la separazione di Cristo sulla croce dovettero sembrare scandalosi», anche nei Vangeli di Citati.
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