I segreti che nascondiamo a noi stessi. Intervista ad Antonella Boralevi
Esce per Baldini+Castoldi il nuovo romanzo di Antonella Boralevi, La bambina nel buio, che si apre con la festa dei vent’anni di matrimonio degli Zanca. Ci troviamo in Veneto, nello sfarzo, nel mondo del privilegio. Lui, Paolo Zanca, è un imprenditore arricchito, un nouveau riche; lei, Manuela, è una paesana con il seno prosperoso e i denti bianchi da lupa. Selvaggia e affascinante. La coppia ha una figlia, Moreschina, che tradisce con inchini misurati un’educazione pretenziosa. È attorno a questi tre protagonisti, del lontano 1985, che la narrazione affonda le sue radici per poi espandersi fino al 2017.
In occasione dell’uscita del romanzo, Antonella Boralevi ha svelato alcuni dettagli che hanno portato alla sua stesura.
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Soldi e potere: un’equazione che mette pressione. È difficile entrare nel mondo altolocato ed è altrettanto difficile restarci… Penso soprattutto a Stefano Gallo.
L’alta società si sposa spesso con un determinato tipo di educazione, di eleganza. Paolo Zanca fa soldi da solo, ragion per cui deve capire le regole che sottostanno alla nuova società di cui fa parte. La moglie, Manuela, è quella che rimane più legata al paese, apparendo meno adeguata in questo nuova cornice. Il mondo dei privilegiati, però, è fatto di regole e bisogna adeguarvisi, con naturalezza ed eleganza. Per esempio, non si dice “la mia villa”, espressione che denoterebbe un’appartenenza all’altra parte della società. Semmai, si può parlare della villa in campagna.
Manuela non si assoggetta a queste regole indispensabili per mantenere il privilegio e ostacolare l’ingresso ai più. Stefano Gallo, che ricordava, è ricco ma non è aristocratico. Infatti, ne fa parte, ma è accolto con sufficienza.
Detto altrimenti, il mondo del privilegio, da fuori, sembra perfetto, elegante, allegro, eppure, se lo si guarda meglio, è impossibile non scorgere i suoi scheletri.
Ci sono diversi punti di riflessione nel romanzo. L’arte è uno di questi. Risulta che ci parla attraverso i secoli e, oltre a svagarci, ci porta un benefico balsamo per l’anima. Emma, una delle protagoniste del libro, arriva a Venezia appunto per immergersi nell’arte racchiusa nella laguna nel tentativo di guarire le sue ferite. Cos’è l’arte per la vita?
Prima ancora di arrivare a Venezia, Emma si imbatte in un determinato dipinto. L’ho scelto accuratamente per il suo essere enigmatico. Parlo della Tempesta di Giorgione. In primo piano, vi è raffigurata la serenità di una madre che nutre il proprio figlio. In secondo piano, si staglia la scarica di un fulmine. Si intuisce qualcosa in quella contrapposizione di sentimenti.
L’arte ha un valore catartico. Purifica. Dissolve l’oscurità che attraversi.
Qual è il filo rosso de La bambina nel buio?
Il filo rosso è rappresentato dai segreti. I segreti intesi in senso lato. Anche ciò che nascondiamo a noi stessi nel momento in cui sappiamo qualcosa e fingiamo di non sapere. Come per esempio, quando tra due figli ne preferisci uno, ma non lo ammetti. Quando, pensando al marito, vorresti facesse cose diverse da quelle che sta facendo, così tante che è chiaro che vuoi un altro uomo. Ma fingi di non provare tutto questo.
Unitamente ai segreti, il romanzo si pone un interrogativo essenziale, ovvero che cosa può fare una donna per amore?
A proposito di donne… Ci sono molti passaggi nel romanzo che riflettono la vita. Si parla a un certo punto di come le donne si raccontino una versione della relazione di coppia non necessariamente corrispondente alla realtà. Nella difficile giostra dei rapporti tra uomo e donna èforse questa propensione alla prosa della donna a permettere la nascita e il mantenimento degli stessi rapporti?
Noi ci raccontiamo favole nella relazione con gli uomini. Se lui torna a casa alle tre del mattino, non è perché tradisce, ma è per colpa di mille altre scuse che ci inventiamo. Non si accetta la realtà perché fa male. È pericoloso, però, se io mi racconto il modo in cui vorrei che l’altro fosse perché finisco per stare assieme a un fantasma. Ed è inevitabile, prima o poi la coppia esplode.
Tra i temi trattati spicca quello della follia intesa nelle sue plurime sfaccettature. Che cos’è la follia?
La follia è un mondo che uno si costruisce ma che non esiste. È anche la fuga dalla realtà, una fuga che può portare alla creazione, per esempio. Poi, ovviamente, vi è la follia intesa in termini patologici.
Alla fine del romanzo inserisce una playlist di brani che possono fungere da soundtrack del libro. Sono gli stessi brani che lei ascoltava durante la stesura de La bambina nel buio?
Decisamente. Quando scrivo ascolto sempre la musica e, nel caso attuale, è proprio la playlist che ho fornito alla fine del romanzo. L’intenzione era quella di regalare al lettore una soundtrack che gli permettesse un’esperienza più completa della lettura.
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Segue determinati rituali quando scrive?
Solitamente, accade che l’editore mi solleciti a scrivere. Non mi piace, però, scrivere per scrivere. Mi serve l’ispirazione. E quando arriva è come se ne restassi incinta. Resto incinta della storia. Per esempio, per La bambina nel buio ho atteso tre anni per scriverlo, poi la stesura effettiva è durata pochi mesi. Quindi, prima resto incinta della storia, per cui ringrazio l’ispirazione, e poi inizio il lavoro. Ciò avviene tassativamente alla mia scrivania, in un certo tipo di stanza, seguendo determinate regole. Ovvero, prima di tutto cerco di esprimere di che cosa voglio parlare. Segue poi lo schema della storia. Nel caso di questo romanzo si è trattato di uno schema alquanto complesso visto il doppio binario su cui si muove la storia, ovvero i fatti del 1984 e quelli del 2017. Dopo lo schema, scrivo la biografia di ogni personaggio, anche di quelli minori, perché tutti agiscono nella storia. In genere, scrivo al mattino, ma per La bambina nel buio sono rimasta così assorbita dalla storia da proseguire fino a tarda serata in compagnia del caffè americano, dei biscotti, della frutta e del cioccolato amaro.
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Per la prima foto, copyright: Daniel Barnes.
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