I più importanti blog letterari – Intervista a Le parole e le cose
Il lit-blog Le parole e le cose: risposte del co-fondatore e coordinatore Guido Mazzoni.
Il nome del vostro blog è un chiaro riferimento a Michel Foucault e al suo Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, opera nel quale si analizza, tra le altre cose, l’evoluzione del concetto di episteme, inteso come insieme di «fenomeni di rapporto tra le scienze o tra i diversi discorsi nei diversi settori scientifici». Ci illustra le ragioni di questo riferimento? E quale contributo può offrire il web alla riflessione di Foucault?
Le parole e le cose è una formula semplice per dire che il sito si occupa di cultura e realtà. Foucault è un autore decisivo per alcuni degli autori che scrivono sul sito, ma non per tutti, forse nemmeno per la maggioranza dei nostri collaboratori fissi. In realtà LPLC non vuole esprimere una posizione unica: il sito nasce programmaticamente plurale.
Il sottotitolo del vostro blog è “Letteratura e realtà”. Nell’epoca del 2.0, o forse sarebbe già più corretto parlare di 3.0, in quale modo il rapporto tra letteratura e realtà è cambiato? Si registra solo un mutamento nell’oggetto di indagine (o di racconto), oppure c’è dell’altro?
Il mutamento è così profondo che è impossibile parlarne in poche righe: la rete ha cambiato tutto. Ma questa trasformazione fa parte di un processo di più lunga durata che la include e la trascende.
Ciò che Internet e i social network hanno reso possibile è il compimento di una metamorfosi iniziata mezzo secolo fa. Se per millenni la cultura è stata possesso e opera di élites ristrette, da mezzo secolo le masse sono entrate a pieno titolo in un territorio che era loro precluso. Negli anni Cinquanta solo il 10% dei giovani italiani era iscritto a un liceo, nel 1995 il 67% prendeva la maturità; nel 1965 solo il 16% degli italiani leggeva almeno un libro all’anno, oggi circa il 45% degli italiani lo fa. Se in politica la società dei notabili finisce con la conquista del suffragio universale maschile, nel campo della cultura finisce oltre mezzo secolo più tardi con la scolarizzazione di massa. La rete rappresenta un secondo stadio di questo processo perché permette alle masse che hanno avuto accesso alla cultura di diventare attive: di pubblicare, intervenire, commentare, prendere la parola. Da una società ristretta fatta di gerarchie e corpi intermedi, all’interno della quale esistevano canoni e storie condivise, si passa a una società disgregata fatta di nicchie che esprimono se stesse. Gli effetti sul sistema della cultura sono incalcolabili. Questo perché il rapporto fra cultura e democrazia è strutturalmente problematico. Tutti, o quasi tutti, concordano sull’idea che si debba rendere sempre più largo l’accesso di tutti alla cultura, e non c’è dubbio che la scolarizzazione di massa sia una delle più grandi conquiste che le socialdemocrazie e le cristiano-democrazie hanno ottenuto nella seconda metà del Novecento; al tempo stesso la cultura così come la conosciamo intrattiene un rapporto conflittuale con la democrazia, e questo almeno dal momento in cui Platone contrappone la conoscenzadei filosofi alla doxa popolare. Estendere a tutti la presa di parola significa azzerare la conoscenza dei filosofi (o degli specialisti, di qualsiasi ordine e grado), lasciando campo libero a due tratti fondamentali del nostro tempo – l’autorialità di massa e la tendenziale parità fra tutti i modi di sentire. Gli spazi di commento dei blog sono la rappresentazione plastica di questo fenomeno: lo scrittore, il critico, la persona che si è conquistata il diritto ad avere una firma si trova gettato nella doxa, perde i propri privilegi, smarrisce la propria competenza, che è oggettiva, così come sono oggettive la divisione del lavoro e la separazione del mondo in nicchie settoriali. Nella logica dei blog l’opinione di qualcuno che non sa nulla di letteratura giapponese o di nouvelle vague può contare quanto l’opinione di qualcuno che per tutta la vita ha studiato quegli argomenti, in uno scambio di parole necessariamente breve, soggetto all’equivoco, alla chiacchiera, alla maledizione della teatralità, costruito come una simulazione di dialogo che esclude il dialogo – e questo non èun bene. Ciò accade solo nel campo della cultura umanistica, delle scienze umane, perché il nostro senso comune riduce a doxa tutto quello che si dice in questo ambito. Le scienze naturali, la matematica, la tecnica godono invece di uno statuto differente: sono percepite come conoscenze oggettive. Lì non esistono blog – o meglio, i siti che parlano di quelle discipline hanno una forma molto diversa dai blog letterari. Nessuno si metterebbe a sindacare con un ingegnere dalla NASA sul modo migliore di spedire una sonda su Plutone, a meno che questo qualcuno non fosse a sua volta un ingegnere aerospaziale, mentre può capitare di discutere una traduzione da Wallace Stevens con tizi che non conoscono né l’inglese, né le regole elementari della prosodia italiana, né Wallace Stevens, né Plutone.
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Quale può essere il ruolo dei blog letterari in questo processo?
I blog letterari sono l’epicentro e il compimento di questo processo.
Parlare di letteratura e occuparsi di critica letteraria sul web significa inevitabilmente ampliare le possibilità di espressione, ma potrebbe anche comportare l’assuefazione della critica alla velocità richiesta dal web stesso. Si può parlare di rischio? E se sì, come si potrebbe ovviare?
La richiesta di velocità è solo uno dei problemi. Ne vedo altri. Per esempio: le riflessioni e le discussioni profonde su argomenti settoriali possono aver luogo solo fra specialisti, è una legge ineliminabile della divisione del lavoro, mentre scrivere sul web può comportare semplificazione, conformismo, esibizionismo, teatralità. Succede spesso: nelle discussioni su argomenti politici, per esempio, succede sempre.
Si discute sempre più spesso, negli ultimi tempi, di autorevolezza dei blog letterari. L’unico parametro di riferimento al momento è la classifica mensile stilata da Teads sulla base di parametri meramente quantitativi (condivisioni social, backlink, link in uscita, numero di pubblicazioni, ecc…). Non ritiene riduttivo considerare l’autorevolezza senza riferimenti a parametri di tipo qualitativo? E quali proporrebbe di usare, in aggiunta o in alternativa?
La classifica mensile di Teads è fondata sui link in entrata e in uscita ed è largamente inattendibile. Attualmente LPLC ha fra le 3000 e le 3500 visite uniche al giorno: francamente credo che pochi dei siti che ci precedono nella classifica di Teads abbiano più visite di noi. Peraltro questo non significa nulla: non credo che esista alcun legame fra il numero di visite e la qualità di un sito, né credo che siano possibili “parametri di tipo qualitativo”.
Mi permetta una domanda un po’ provocatoria: perché, secondo lei, il discorso sull’autorevolezza è attuale per i blog letterari, mentre sembra quiescente per la critica letteraria su carta stampata o in televisione?
Bourdieu lo spiega molto bene. In qualsiasi campo della vita sociale i nuovi entranti hanno bisogno di legittimarsi, i vecchi occupanti no; nel nostro caso i blog sono i nuovi entranti, i giornali sono i vecchi occupanti (lasciamo perdere la televisione: la televisione non ha alcun rapporto con la cultura umanistica tradizionale). E questo anche se la qualità di ciò che si scrive in certi blog sia nettamente superiore alla qualità media di ciò che si legge sulle pagine culturali dei quotidiani.
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