I musei italiani fanno un uso scarso dei social network
Twitter e Facebook, e più in generale i social network, vengono poco usati dai musei italiani. La cultura nostrana non ne vuole sapere di “cinguettare” per diffondere e promuovere le proprie iniziative. All’estero, invece, i musei seguono regole precise di social networking e vengono create professioni ad hoc come quella del Digital Media Curator, che ha portato il Moma (@MuseumModernArt) di New York al traguardo di 1 650 000 di follower, 685 000 per il Metropolitan (@metmuseum) e 271 000 per il British Museum (@britishmuseum).
È quanto emerge da uno studio sui musei e Twitter, realizzato dalla società di marketing spagnola LaMagnética e presentato a Firenze lo scorso 19 febbraio. Gli anglosassoni sono i padroni della rete. Tedeschi e francesi sono meno bravi, mentre in Italia i Musei Vaticani e gli Uffizi neanche hanno un profilo Twitter. L’unica eccezione è costituita da Palazzo Madama di Torino (@palazzomadamato) che conta ben 4179 follower e 7162 tweet.
C’è una lentezza di fondo che va superata, bisogna capire che le piattaforme in rete permettono di lanciare nuove acquisizioni, attività di restauro, mostre temporanee, anteprime, feedback e aggiornamenti in tempo reale a costo zero. Un click non costa nulla e accresce il coinvolgimento del pubblico a livello esponenziale.
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«Da quando il museo ha riaperto, nel 2007, abbiamo puntato sulla costruzione di una reputazione social per espandere il pubblico. Non è solo il numero dei follower l’importante, ma la rete di relazioni che riesci a tessere nel mondo», dice orgogliosa Carlotta Margarone, la digital media curator di Palazzo Madama. Un’affermazione, la sua, che andrebbe replicata in molti altri musei italiani.
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