“I mondi reali” inventati da Abelardo Castillo
Abelardo Castillo ne I mondi reali (Del Vecchio Editore, traduzione di Elisa Montanelli) elabora una sua personalissima dimensione: fatta di uomini soli, coppie eterne, omicidi gratuiti, e tutto rigorosamente immerso nell’atmosfera di un Sud America, diremmo, dell’anima.
Una varietà di questo tenore è ciò che tiene uniti i racconti della raccolta, dalla stazione di un paese deserto all’interno di una stanza con un prezioso lampadario la Vigilia di Natale.
Quello dei cuentos castillani è un movimento costante, e non semplicemente nelle sue coordinate spaziali, ma in quelle temporali e soprattutto in quelle mentali. Il narratore trascina i propri protagonisti per zone sempre diverse, li fa abitare momenti ora in avanti, ora indietro nel tempo, ma soprattutto li spoglia di ogni sovrastruttura del pensiero. Chi vive il racconto apre senza filtri la propria mente, e porta il lettore a seguirne gli andamenti: anche quelli più inquietanti.
La velocità e l’imprevedibilità della narrazione aprono a una cifra surreale. Si viene lanciati letteralmente in situazioni che hanno del perturbante, con una buona dose di perplessità e incredulità. Una persona sola invita a cena un barbone per ucciderlo, semplicemente per ucciderlo. Un marito mette in scena un cerimoniale di omicidio della moglie ogni sera, nel buio, allo stesso modo: ma non uccide mai. Tutto si agita in una tela di salti logici e temporali che rischia in alcuni punti di allentare l’unità del singolo racconto e di invischiare il lettore, facendo saltare la tensione.
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La morte, come appare dagli esempi precedenti, ritorna in modo ossessivo. Ma non è tanto intesa come la fine della vita: si tratta invero di un’alternativa alla vita, un modo diverso di esistere. Perché in fondo è questo che lo scrittore indaga nei suoi cuentos: una ricerca ontologica. Chi decide cosa esiste, e dunque cosa è reale?
Reale è ciò che accade nella mente di un uomo, che passa delle sere speciali e eterne con una ragazza che respira e parla solo per lui. I protagonisti vivono in mondi che esistono per loro stessi, in quanto pensati, in quanto vissuti con il ricordo, ma soprattutto in quanto raccontati. Il narratore, che in molti racconti coincide esattamente con l’autore, diventa allora una “levatrice”, quando si offre di ascoltare chi ha vissuto la vicenda, e quindi scrivere, portando la storia al lettore. La letteratura di Castillo costruisce dei mondi, ma attenzione a etichettarli come “immaginari”: «realisti o fantastici i miei racconti appartengono a un solo libro. E la letteratura, a un solo e intricato universo, quello reale, fatto di tanti mondi» (Postfazione a Las panteras y el templo). Anche i sogni, anche l’immaginazione, appartengono alla realtà.
I concetti di realtà si slabbrano, le dimensioni si moltiplicano, la scrittura si ipertrofizza. Per questa stessa complessità, i cuentos di Abelardo Castillo si inseriscono a pieno titolo nella storia letteraria argentina, come spiega bene la nota critica in coda al libro (un momento interessante della lettura dei Mondi reali, tanto quanto i racconti che la precedono). Dall’uruguaiano Quiroga all’argentino Lugones, prende le mosse una tradizione vivace di “cuentisti”, che arriva fino al picco rappresentato da Cortázar. È la “nueva era cuentistica argentina”. E Castillo continua a dichiararsene debitore quando scrive il suo libro ‘incessante’, come ricorda la dedica in esergo alla raccolta. «Tutti i miei racconti e quelli ancora da scrivere appartengono a un solo libro incessante, e a una donna, a Sylvia che ha dato a questo libro il nome che porta oggi»: I mondi reali, Abelardo Castillo, felicemente riscoperto da Del Vecchio editore.
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