I lettori non sono stupidi. Incontro con Ken Follett
Ci sono romanzi che ti assorbono, che ti rendono protagonista inconsapevole della vicenda. Sei lì, tra le pagine, acquattato da qualche parte, a guardare, a percepire le emozioni dei personaggi, ad arrovellarti il cervello in cerca di una soluzione per un problema che ti sta troppo a cuore. Ci sono romanzi che ti fanno perdere il contatto con la realtà. Uno di questi è Fu sera e fu mattina di Ken Follett, uscito in italiano per Mondadori, nella traduzione di Annamaria Raffo.
L’effetto non è accidentale, a spiegarlo è lo stesso Ken Follett, durante una tavola rotonda virtuale promossa dalla casa editrice:
«Ho sempre in mente i miei lettori, mentre scrivo, perché il mio desiderio è quello di offrire al lettore una storia così avvincente da dispiacersi che il suo aereo è atterrato, che il tempo dedicato alla lettura è giunto a termine. A me importa sapere cosa appassiona i miei lettori. Non sono uno scrittore che scrive degli argomenti che gli piacciono e poi spera piacciano anche agli altri».
Sempre riferendosi ai lettori, Ken Follett ha un’idea molto precisa di chi siano, o meglio di chi non siano:
«Non penso che i miei lettori siano stupidi, che vadano istruiti, bacchettati, incanalati verso una posizione politica o un’altra. Io credo che i miei lettori siano intelligenti – io non sono più intelligente di loro – e in grado di farsi un’opinione personale su qualsiasi aspetto della vita, ciò che vogliono dai miei romanzi è cogliere un sentimento, un’emozione. Personalmente, non amo gli scrittori che fanno i maestri, puntano l’indice e insistono nell’impartirmi lezioni».
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Nessuna storia viene impartita in Fu sera e fu mattina. Ciò che si ritrova tra le pagine di questo romanzo voluminoso, che non annoia un solo istante, è un distillato di sentimenti, di pensieri, di conflitti, di fortuna e sfortuna, di astuzia e voglia di farcela, di non arrendersi. C’è anche tanto dolore, ingiustizia, scelte difficili. E perdono.
Siamo vicini all’anno Mille. I vichinghi colpiscono e razziano le coste inglesi mettendo a ferro e fuoco i centri abitati non abbastanza fortificati, almeno non quanto quelli normanni, che si estendono al di là della Manica.
Edgar è un giovane costruttore di barche, con suo padre e i suoi fratelli stanno lavorando bene, ma il ragazzo è innamorato di una giovane donna sposata, Sunni. C’è un modo per poter vivere il loro amore: fuggire. Edgar ha preparato tutto: l’imbarcazione solida, la traversata, il lavoro nel nuovo posto dove andranno a vivere, il momento esatto in cui scappare. Aspetta la sua amata seduto nel luogo stabilito, prima che il cielo albeggi, ma lei tarda ad arrivare. Dal mare, sopraggiungono le navi vichinghe. Edgar sa di dover salvare la sua amata, ma ha il dovere di avvertire anche la famiglia: non è facile. La distanza da percorrere è troppo grande per riuscire a fare in tempo ad avvisare gli uni e gli altri, gli rimane solo suonare le campane del piccolo monastero di Combe.
Mentre la vicenda di Edgar inizia con questo tumulto di emozioni, quella di Ragna, figlia di un nobile normanno, prende vita seguendo tutto un altro ritmo. Ragna è ricca, e già questa differenza tra lei ed Edgar segna destini diversi. Ragna è intelligente, bella, giusta e con una volontà di ferro. Nonostante ci siano regole alle quali non può sottrarsi, è troppo furba per non riuscire ad aggirare i vincoli che, secondo lei, renderebbero la sua vita un inferno. Primo tra tutti, sposare un uomo che non sia alla sua altezza, che la releghi alle faccende minori, che non la ami e non la rispetti. Un uomo che spenga la sua luminosità solo perché incapace di coglierla e comprenderla. È per questo che, quando arriva il nobile inglese Wilf, Ragna sa di avere davanti un uomo da amare.
Fu sera e fu mattina, titolo che – spiega Ken Follett – ricalca, in originale, le prime parole della Bibbia, nella traduzione commissionata da Re Giacomo, per gli inglesi, un punto di riferimento, accende coni di luce su dettagli che diventano testimonianza preziosa della grande storia. In Inghilterra, ci sono i padroni e, al loro fianco, ci sono pure gli schiavi.
Chi fossero i padroni di allora, è facile dirlo: un nobile, un esponente ecclesiastico, un uomo ricco. Volessimo fare un parallelismo: chi sono i padroni di oggi? Per Ken Follett, i padroni di oggi, «siamo tentati a dire, sono le persone. Viviamo in una democrazia, abbiamo la libertà di stampa, possiamo esprimerci a piacimento. Eppure, notiamo che i leader non sono necessariamente gli uomini più istruiti o più intelligenti, guardiamo Trump, ma quelli che raccontano la bugia migliore. La verità non piace, per cui finiamo per votare coloro che ci raccontano la storia più gradevole».
Di contro, in questa Inghilterra lontana nel tempo, esistono ancora usanze che, per esempio, i normanni non accettano più, ovvero possedere degli schiavi. Edgar e la sua famiglia, però, sanno molto bene secondo quali disgrazie si diventa schiavi. È un dettaglio che persiste e risulta difficile non traslare il pensiero e riflettere sul mondo contemporaneo. Ecco cosa pensa Ken Follett della schiavitù:
«La differenza con il passato è che allora era legale. Possedere degli schiavi, però, aveva ripercussioni negative anche sui proprietari in quanto svelava il lato peggiore dell’essere umano. Non sono molti gli storici inglesi che raccontano della schiavitù inglese dell’anno Mille, immagino non lo facciano perché si vergognano, e fanno bene; ma bisogna tenerlo a mente, rifletterci affinché la schiavitù non esista più».
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A scoprire la storia di Blod, la schiava gallese di Dreg, una bambina, agli occhi di un lettore contemporaneo, ci si vergogna di appartenere alla stessa famiglia di chi si è macchiato di gesti così crudeli. Forse, appunto perché la storia non è ciclica, così come ha spiegato Ken Follett, e sono i problemi che ritornano in forme diverse a conferire un senso di illusoria ciclicità alla storia, che noi possiamo «capire i problemi del passato e il modo in cui sono stati superati. E questo è incoraggiante per il futuro».
Leggere Fu sera e fu mattina di Ken Follett è più di una semplice lettura, più di un viaggio in un altrove che non conosciamo, è un’esperienza che merita di essere vissuta.
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Per la prima foto, copyright: Charles Loyer su Unsplash.
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