I Lehman brothers, una storia di fragile immortalità
L’immortalità è conquista o acquisto? Qualcosa sui Lehman, di Stefano Massini, poema epico e canovaccio teatrale edito da Mondadori, è una metafora sulla voracità umana, sull’ingollare e il farsi inghiottire. Un libro che è tragedia in tre atti, dotata di unità di luogo, tempo e azione sul mondo intero come scenario, nell’orditura di una saga familiare fuori da ogni regola umana e divina.
I Lehman raccontati da Massini sono proprio i brothers della bancarotta di settembre 2008, quelli degli impiegati che uscivano dalla sede di New York reggendo tra le braccia le macerie delle loro vita (e di buona parte delle nostre) in un solo scatolone.
Non c’è modo di leggere questo libro senza provare dolore, voglia di gridare il proprio lutto per la nostra generazione e un paio di quelle future, depennate dallo stato sociale a causa dei numeri, dei profitti, di un denaro che non si vede ma si muove e sbatte la coda come il Leviatano e ci affonda. E se il senso di ingiustizia non possiamo dribblarlo, queste pagine vanno lette assecondandone il ritmo quasi bestiale, nel senso di animale, di pancia, di sentire. I soldi e i numeri non stanno mai fermi, così come i Lehman e il loro continuo pensare e agire, perfino nel sonno; tra sonno e sogno si muove anche la creazione artistica, soprattutto quel sonno goyesco della ragione che genera mostri.
È un’acquaforte di parole mai stanche, quella tenuta insieme da Massini sul filo di 800 corposissime pagine. La storia della famiglia Lehman inizia l’11 settembre del 1844, con Henry Lehman, ebreo, figlio di un mercante di bestiame, che sbarca a New York dalla Baviera con l’unico intento di fare soldi. Beata onestà. E nel Paese dove perfino i mendicanti, a quel tempo, guadagnavano bene, «i soldi si fanno con quello che non puoi non comprare». E che cosa non si può comprare? Nulla. Forse nemmeno l’immortalità. Da metà del diciannovesimo secolo, per circa centocinquant’anni, i fratelli Lehman (a Henry si aggiungono poi Emanuel e Mayer, i brothers fondatori) moltiplicano sé stessi, le proprie attività e i guadagni, foderando il mondo di stoffa di cotone dall’Alabama, la loro prima casa, per poi passare al nord, a New York, fondare Wall Street, comandarla e affondarla. Attraversano indenni guerre e terre; tra nord e sud degli Stati Uniti, in Europa ben due guerre mondiali.
E vendono con la stessa abilità sia ciò che serve per fare la guerra sia il necessario per la ricostruzione, quando una guerra finisce. Dal cotone allo zucchero di canna, al caffè, al carbone, al petrolio, all’acciaio, ma poi servono ferrovie per trasportare questo bendidìo, e industrie per produrlo: è così che i Lehman diventano una banca, anzi, una banconota. E fin lì, il denaro ancora si può toccare con le mani. Era ancora la Lehman dei patriarchi, «il vero affare, figli miei, non si fa con i ragionamenti, ma con gli occhi, le mani, il naso». Era la Lehman ancora legata al lavoro; scalava montagne di ricchezza come i posti nelle prime file del tempio, ma era fatta di uomini e di realtà, la banca, anche se le nuove generazioni di banchieri di famiglia non consumavano più la suola delle scarpe nei solchi dei campi di cotone né scendevano a sporcarsi la faccia in miniera. Nel loro dominio incontrastato, però, qualcuno iniziava a inquietarli: «perfino gli operai vogliono aprir bocca e fanno un chissà cosa chiamato sindacato».
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Ma non è soltanto una storia di soldi, la saga dei Lehman; il cuore c’entra poco ma i matrimoni molto, le alleanze d’oro si fanno anche sposando ragazze di buona famiglia, soprattutto se di cognome fanno Goldman o Sacks. Una saga tutta al maschile, sfacciatamente; d’altra parte le donne non scrivono mai l’epica, al massimo qualche poesia.
In un tono che oscilla tra l’elegiaco della Ballata di Rudi, di Elio Pagliarano, e il borbottare cupo, da gorgo di acqua putrida del romanzo più corrosivo sulla madre di tutte le crisi, (Sulla sponda, di Rafael Chirbes), i Lehman di Massini scrivono di loro pugno nella storia del mondo i nuovi comandamenti, le tavole della legge: primo, «LA MODESTIA FA SOLO DANNI» (scritto così, in maiuscolo, perché questo libro lo compongono, dal punto di vista estetico, anche la scelta dei caratteri, dei colori nel testo, le parti da graphic novel, le sfilze di numeri, le onomatopee); secondo, «ESAGERA TE STESSO, E SMUINUISCI IL RESTO»; terzo, «I SENTIMENTI SONO EXTRA‐BANCARI»; quarto, «CHI PENSA AGLI ALTRI SI METTE NEI GUAI»; quinto, «LA MISERIA ALTRUI NON TI RIGUARDA». E con soli cinque comandamenti, all’umanità del progresso basta e avanza.
Assimilate le sacre scritture, si passa decisi a comprare gli oggetti, le materie prime, gli strumenti per produrre; si comprano poi le persone, incarnate nella politica, nei giornali, nelle funzioni dello Stato. Ma la vera rivoluzione è comprare debiti: «un prestito che fila liscio è certo un buon affare, ma un debito ceduto a un terzo è un’occasione eccezionale. Vi piace la mia invenzione?». È il potere che non fa rumore, un potere «tutto matematico»; attecchisce nei vasi sanguigni dell’uguaglianza, la rende carcinoma incurabile. I Lehman sono l’uno per cento che domina sul novantanove, «il mondo oramai è una pallina», per loro. Quella pallina diventa metastasi e il male esplode da New York a Parigi, da Londra a Tokio quando ai banchieri puri, gli eredi di Henry, Emanuel e Meyer, dei campi di cotone dell’Alabama, succedono i partners. La famiglia si fa un po’ da parte, nel tentativo, forse, di evitare ai figli il pagamento delle colpe dei padri: l’unico debito in realtà inestinguibile. E così, dopo aver venduto, comprato, finanziato i sogni e la materia di cui sono fatti (ai soldi dei Lehman si devono capolavori del cinema come il primo King Kong o Via col vento; la nascita della Pan Am, prima aerolinea commerciale; il finanziamento dello sbarco sulla luna), la storia dei brothers, il loro fagocitare, espandersi, arraffare, tracannare, finiscono dentro un unico scatolone, una mattina di metà settembre del XXI secolo che cambierà per sempre i connotati al mondo.
Da questo libro Luca Ronconi ha tratto Lehman Trilogy, la sua ultima regia teatrale, molto premiata dalla critica ma soprattutto dall’accoglienza calorosa del pubblico nei teatri, luoghi in cui le tragedie divine entrano negli occhi e nelle orecchie degli umani. È l’unico modo per conquistare quell’immortalità che sicuramente non si acquista, come dimostra la storia narrata da Stefano Massini in Qualcosa sui Lehman.
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