I giovani di oggi, tra social e disoccupazione. Intervista a Sandro Frizziero
In Confessioni di un NEET Sandro Frizziero ci racconta la realtà di oggi, dal punto di vista di un Not in Education, Employment or Training, cioè di una persona che non è impegnata né in attività di formazione né di lavoro. Insomma, uno dei tanti giovani di questa generazione così legata alla realtà dei social network.
Sul Romanzo ha parlato con lui in occasione di Più libri Più libri 2018, importante appuntamento fieristico che si è svolto a Roma dal 5 all’8 dicembre.
Confessioni di un NEET uscito per Fazi Editore nel 2018 è il suo romanzo di esordio. I lettori e gli aspiranti scrittori saranno certamente curiosi di sapere com’è arrivato a scrivere e, in particolare, a pubblicare con un editore così importante. Vuole raccontarcelo? Come è cambiato il suo atteggiamento nei confronti dell’editoria adesso che ci sta “dentro”? Come è stata la sua esperienza a Più libri più liberi?
Scrivere per me è un’abitudine che mi accompagna fin dall’adolescenza. A chi vorrebbe pubblicare, direi di scrivere, prima di tutto. Scrivere sempre, con continuità, non temendo di stracciare le pagine che non convincono. E se questo incontro quotidiano con la scrittura, poi, dà forma a un romanzo, occorre farsi leggere, mettersi alla prova degli altri. Non tanto, o non solo, rivolgendosi ad amici e parenti, ma a persone che conoscano almeno un poco le dinamiche editoriali.
Io sono arrivato a Fazi da solo, facendo leggere il mio libro e trovando poi nell’editore ascolto e disponibilità. Per il resto, ho appena iniziato a conoscere il mondo dell’editoria e devo dire che ancora non ho compreso a fondo le forze che lo governano. In ogni caso, tutte le persone che lavorano per il mio editore mi hanno messo subito a mio agio e credo che poi questa sia la cosa più importante per superare l’imbarazzo dell’esordiente.
Presentare il mio romanzo a Più libri più liberi, assieme a Tiziano Scarpa per giunta, è stata davvero una soddisfazione enorme. Tutti i luoghi in cui si parla di letteratura mi piacciono; la fiera dell’editoria di Roma, però, è stata interessante anche perché ho potuto conoscere qualche titolo pubblicato da case editrici di cui raramente si vede il nome in libreria. L’esperienza è stata di certo positiva.
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L’incipit riassume con efficacia quello che, leggendo, si scopre essere uno dei temi centrali del libro, ovvero il contrasto tra la volontà del NEET di sparire dal mondo e il suo legame con la famiglia (mi riferisco al P.S. dedicato alla madre). Interessante anche il modo in cui descrive il rapporto con il padre: spinge il figlio a trovare un lavoro, a inserirsi nella società eppure non fa altro che lamentarsi del suo impiego, della burocrazia, della società in generale. Visto anche il suo lavoro, che la porta a confrontarsi con i genitori, crede che le famiglie siano in grado di supportare i propri figli nell’affrontare il mondo di oggi?
I contrasti tra genitori e figli non sono cosa nuova, ma proprio per questo è necessario non si abbandoni l’abitudine al dialogo e al confronto, senza dimenticare però che i figli hanno bisogno di regole, anche rigide. Ecco perché comprendere le ragioni dei più giovani non significa giustificarle sempre. Il comportamento dei genitori del mio personaggio dimostra, inoltre, che s’insegna molto di più con l’esempio che con vaghe paternali senza seguito.
Per il resto, non sono in grado di esprimere un giudizio su come agiscano i genitori di oggi. Facendo l’insegnante, ho visto una quantità tale di approcci educativi (giusti e sbagliati), che per me è davvero impossibile generalizzare.
«Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo» dice il NEET. Ma l’interpretazione che dà di questa frase è completamente ribaltata rispetto a ciò che ci si aspetterebbe. Infatti, il protagonista dice anche: «Per questo io non programmo, non pianifico, non mi impegno». Si percepisce un’ansia di sottofondo per tutto il testo, nonché nella vita del NEET. Pensa che questa disillusione e questa inquietudine siano il male di vivere dei giovani di oggi? A questo proposito, ci tengo a sottolineare l’efficacia dei titoli dei capitoli; mi ha colpito in particolare questo: Certe persone ti fanno a pezzi perché non sono in grado di affrontarti tutto intero.
I titoli dei capitoli li ho tratti dalla rete; rappresentano un condensato di quella filosofia spiccia che vi circola, tutta basata sull’importanza del successo e della realizzazione personale.
I più giovani mi sembrano schiacciati da una parte dalla “retorica della crisi”, per cui sarebbero già condannati a un avvenire incerto e poco soddisfacente; dall’altra da una mentalità aziendalista ipercompetitiva per cui bisogna “farcela a tutti i costi”, “crederci fino in fondo”, lottare per ottenere grandi obiettivi soprattutto a scapito degli altri. Ciò produce in chi non riesce a ottenere subito ciò che vuole, o che pensa di volere, uno stato di disillusione, scoraggiamento e immobilità davvero preoccupante.
Potrà quindi sembrare contraddittorio, ma io penso che un giovane debba sapersi illudere, saper sognare, e allo stesso tempo essere realista, e quindi porsi piccoli obiettivi e provare a raggiungerli con sacrificio e dedizione. Mi pare l’unico modo per affrontare un mondo fin troppo ingiusto.
Fondamentale, nel romanzo, il rapporto delle persone con i social network. Parla dei social con molta ironia, quasi con cattiveria. Non crede che abbiano anche dei lati positivi?
Rinunciare ai social oggi significa rinunciare a un indispensabile mezzo di comunicazione e a un altrettanto indispensabile fattore di socializzazione. Questi strumenti hanno dunque molti lati positivi. Il problema è che questo medium ha legittimato pubblicamente alcuni comportamenti prima relegati alla sola sfera privata. Parlo, per esempio, della propensione all’insulto, alla cattiveria o, ben che vada, al ragionamento abborracciato e superficiale. La moderazione, la riflessione pacata e civile, l’approfondimento, per le modalità stesse di fruizione dei social, hanno invece poca visibilità. Non dobbiamo dimenticare, però, che le pagine di Facebook o di Instagram sono diverse, quanto diversi sono coloro che le gestiscono.
Il suo NEET ha un “forte bisogno definitorio” (cito da una sua intervista). Crede che sia imprescindibile il confronto con gli altri per definire se stessi?
Certamente, e non mi pare un pensiero così nuovo. Ho riletto di recente un bel saggio che consiglio a tutti La conquista dell’Americadi Todorov che ben spiega le modalità con cui avviene l’incontro/scontro con l’altro, con il diverso da noi. Sia i misantropi che fuggono dalla gente, sia coloro che stanno bene solo in compagnia e temono la solitudine costruiscono la loro identità nel confronto con gli altri. Certamente un uomo solo in un’isola deserta non si riconoscerebbe più.
Ho una curiosità: cosa pensano i suoi allievi di questo romanzo? Voglio dire: per i ragazzi di oggi la figura dello scrittore è ancora affascinante come lo era, ad esempio, per la mia generazione (quella degli attuali quarantenni)?
Direi di no. E non serve scomodare Baudelaire e parlare della perdita dell’aureola. Leggere è diventata un’attività di nicchia (in Italia abbiamo, per fortuna, un numero stabile di lettori forti, che leggono tra l’altro sempre di più, ma per il resto, il quadro è davvero sconfortante), e dunque anche lo scrittore difficilmente viene percepito come un individuo “speciale”, depositario, se non di un sapere superiore, almeno di uno sguardo sulla realtà fuori dal comune.
Io, avendo un’altissima considerazione della figura dello scrittore, tendo a non volermici avvicinare. E non so se qualche mio studente sia affascinato dal fatto che ho pubblicato un libro o reputi la scrittura solo un mio passatempo, nemmeno troppo interessante. Non lo so anche perché non mi interessa: il mio obiettivo (direi quasi il mio sogno) è far capire loro il valore della letteratura, a prescindere dal (presunto) fascino dell’autore.
Esilarante il racconto dei colloqui che sostiene il NEET. Le assicuro che ho sognato spesso di riuscire a fare qualcosa del genere! Questo umorismo un po’ nero, un po’ inglese se vogliamo, mi ha colpito molto, soprattutto perché si sente che le viene molto naturale. Quali sono gli autori che ama di più, a cui, magari, si è ispirato?
Faccio fatica a indicare le possibili fonti della mia scrittura. Posso dirle che ci sono alcuni autori veneti, come Francesco Maino, Vitaliano Trevisan e Francesco Permunian che fanno dell’invettiva uno strumento di analisi del reale e a cui mi sento vicino. Tramite le loro opere ho capito, forse, che la misantropia letteraria è un ottimo antidoto alla misantropia reale.
Amo molto Thomas Bernhard (Antichi maestri, per me, è un’opera fondamentale), ma anche Luciano Bianciardi, Romolo Bugaro, Tiziano Scarpa, Walter Siti. Non credo, però, di essermi “ispirato” a qualcuno di questi autori in particolare, ma piuttosto che tutti abbiano concorso in qualche modo, alla mia scrittura.
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Altra curiosità, un po’ più frivola: adorabili coprotagoniste sono le due gatte parlanti. Che rapporto ha con gli animali?
Le gatte del mio romanzo parlano perché sono convinto che nella nostra società gli animali siano tanto amati proprio perché non possono dirci ciò che davvero pensano di noi. A mio avviso, un cane non potrà mai essere il “miglior amico dell’uomo” proprio perché è un amico silente, sul quale riversiamo unilateralmente i nostri pensieri cercando poi nei suoi occhi una vaga approvazione.
Io amo gli animali; penso che rispettarli sia uno dei più importanti segni di civiltà. Non sopporto però le esagerazioni, le manifestazioni d’affetto eccessive, l’umanizzazione della bestia che, a mio avviso, ha già la sua dignità senza passeggini e cappottini. Di recente, ho saputo che esiste un’azienda che commercializza il primo prosecco per cani.
Mi pare di aver già detto tutto.
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Per la prima foto, copyright: Becca Tapert su Unsplash.
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