“I dirimpettai” di Fabio Viola, satira feroce e tagliente
Li guardi camminare e sdraiarsi con una flemma cinica e disperata: sono I dirimpettai descritti da Fabio Viola nel suo ultimo libro, edito da Baldini&Castoldi. Un libro che ha fatto tanta strada (arrivato tra i 26 candidati al Premio Strega 2015), e che continuerà a macinare chilometri.
I dirimpettai nasce infatti da una serie di post scritti da Fabio Viola – l’autore di Sparire – su una pagina Facebook, in cui venivano descritte con molta fantasia e sottile ironia le vite di chi gli abitava di fronte. Dalla dimensione episodica di questi post, viene l’idea – intelligente, curiosa – di creare una struttura, e organizzare in un romanzo sit-com le varie scenette. La situation comedy, non a caso, si basa su un nucleo definito di personaggi che si muove all’interno di una specifica scena: di qui l’ambientazione claustrofobica in questa casa extra-lusso e extra-comfort, con un bagno, l’antibagno e l’anti-antibagno, e la narrazione che si impernia sui dialoghi di due uomini, «il più vecchio» e «il più giovane», e di pochissime persone che gravitano intorno a loro e alla loro abitazione.
Il più vecchio è un pezzo grosso della RAI, il più giovane è il suo compagno, raccomandato senza talento che è entrato con uno “spintone” nell’azienda. Sono ricchi, benestanti da star male, e hanno una domestica che si permettono di pagare alla settimana più di quanto qualsiasi stagista possa mai sognarsi di prendere in un mese. Ma è proprio intorno alla loro domestica che si coagulano delle increspature nella loro vita tenuta sotto controllo dalla dieta ipocalorica e dallo schermo spaziale dell’Oled 4K. Una violenza brutale li colpisce, e per un attimo li sorprende, e sospende la loro assoluta apatia.
Ma non è di questa violenza, e se vogliamo di questo dolore, che parla Fabio Viola nei Dirimpettai. Tutta la narrazione si protrae e si allunga sulla divina indifferenza di questi esseri (inumani, appunto) a qualsiasi gesto d’amore, di solidarietà, di fratellanza, di empatia. Sono legati ai loro oggetti, alle loro abitudini rilassate, alla gatta altezzosa Miuccia, ma sono estremamente lontani dagli altri uomini – come raccontano i gesti continui di incomunicabilità, di porte che si chiudono alle spalle e sguardi carichi di silenzio.
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Sono personaggi tanto aridi da apparire posticci. Fabio Viola, inquadrando una piccola realtà, la esaspera con vigore, e finisce per sfaldarla proprio mentre la racconta; nella nota introduttiva al libro, infatti, scrive: «Così funziona la post-realtà, nel regno dell’immagine, dove il prezzo da pagare per la notorietà è di essere trasformati in personaggi quasi-veri, condensatori di fantasmi». E ancora, in un’intervista, parla della letteratura come di un «rendering quadrimensionale della vita», che «serve a preparare al peggio perché mette a fuoco la condizione umana in tutto il suo caos».
Nei Dirimpettai chi mette a fuoco è l’osservatore che sta alla finestra di fronte, quello che si lascia intravedere nella copertina del libro (solo una mano appoggiata al parapetto di un terrazzo). Il voyeur è un narratore neutrale, spietato nelle descrizioni, ma spesso attraversato da parole dolci, aggettivi fuori dall’ordinario, piacere per i dettagli che si rivelano colorati e significativi (l’albero di limone): come se la spietatezza, il cinismo di cui è complice pure lui, possa essere guastato da sprazzi di umanità, come anche in rarissimi momenti succede ai protagonisti. Ma non c’è salvezza, non c’è catarsi e non c’è riscatto. Gli alberi di limone servono soltanto a creare un contrasto, un odore improvviso che potrebbe alludere a una verità diversa – altra da quella artificiale creata dalle certezze ultralusso e ultratecnologiche dei protagonisti. Ma i dirimpettai quasi non se ne accorgono.
Feroce, grottesca e tagliente fino in fondo è la satira di Fabio Viola per i suoi Dirimpettai. Caustica, forse, fino a essere quasi arida.
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