I consigli di Virginia Woolf a un giovane poeta
Pensare a Virginia Woolf nell’atto di formulare una serie di consigli a un giovane poeta e soprattutto vederli espressi in maniera metodica potrebbe apparire strano a chi ha imparato a conoscere da vicino le opere di questa scrittrice. E difatti più che a una lista razionalmente ordinata, Virginia affida i suoi consigli a due lettere, scritte il 7 e il 31 luglio 1932 ed entrambe indirizzate a John Lehmann, futuro direttore editoriale della Hogarth Press, la casa editrice fondata da Virginia insieme al marito Leonard, che però finì per licenziarlo a seguito di alcuni contrasti.
L’allora venticinquenne John Lehmann, che nutriva aspirazioni da poeta e molto probabilmente non vedeva l’ora che i suoi versi fossero pubblicati, aveva scritto a Virginia Woolf nel 1931 (o almeno così riporta la scrittrice nelle sue riposte) per porle una domanda precisa:
«Mi scriva e mi dica dove sta andando la poesia, o se è morta?»
Domanda che però si accompagna a un’eccessiva (secondo la Woolf) sfiducia del giovane aspirante poeta nei propri mezzi ma soprattutto nello stato attuale della poesia:
«non è mai stato tanto difficile scrivere poesia come al giorno d’oggi, e che forse la poesia è giunta agli estremi – tutto quello che è un po’ interessante qui in Inghilterra oggi lo stanno scrivendo i romanzieri».
La risposta si snoda lungo le due lettere che abbiamo citato e che sono state da poco pubblicate da Lindau nel volume Lettere a un giovane poeta, nella traduzione di Camilla Salvago Raggi.
Nonostante fin da subito Virginia ammetta che
«La mancanza di seri studi universitari mi ha sempre impedito di cogliere la differenza tra un giambo e un dattilo: e se già questo non fosse di per sé una colpa, l’uso della prosa ha creato in me, come in tanti prosatori, un’insana gelosia, una sorta di farisaica indignazione, e comunque un’emotività, che a un critico assolutamente non si addice»
non rinuncia a fornire a John il suo punto di vista che in alcuni punti assume la forma di veri e propri consigli.
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1. Non pubblicare nulla prima dei trent’anni
Su questo Woolf sembra essere categorica, forse anche per raffreddare un po’ le smanie del suo interlocutore.
«E per amor del cielo non pubblicare niente prima dei trent’anni. […] Questo secondo me è molto importante. Gran parte degli errori che riscontro in queste poesie deriva dal fatto che hanno visto la luce cruda dei riflettori quando erano ancora troppo giovani per reggere l’impatto».
Questo è il consiglio su cui Woolf insiste anche nella lettera successiva, quella del 31 luglio, in cui scrive:
«E se, come penso, le poesie migliori sono state scritte prima dei trent’anni, non perderanno niente a restare ferme un altro po’».
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2. Quando sei giovane scrivi per te stesso
Woolf invita con forza John a scrivere prima di tutto per se stesso, senza ricercare le lusinghe di un pubblico o di un recensore a partire dalla consapevolezza che qualsiasi poesia risulterebbe migliore se per dieci anni (nel passaggio tra i venti e i trenta) fosse stata scritta solo per se stesso.
«Scrivi dunque, ora che sei giovane, scrivi tutte le sciocchezze che ti vengono in mente. Sii sciocco, sii sentimentale, imita Shelley, imita Samuel Smiles; dà libero sfogo ai tuoi impulsi, compi quanti errori di stile, grammatica, gusto e sintassi tu voglia, sbattici contro, vuota il sacco, sfoga la rabbia, l’amore, la satira usando tutte le parole che ti si presentano costringendole in prosa o in poesia o in qualunque altra forma parlata ti venga in mente. Solo così imparerai a scrivere».
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3. Non ritenerti un caso unico
Citando indirettamente la lettera di John, Virginia gli rimprovera il fatto di ritenere «che il tuo essere poeta […] sia una condizione peggiore di quella che fu quella di Shakespeare, Dryden, Pope o Tennyson».
Pur riconoscendo un minimo fondamento di verità alle parole di John circa le difficoltà a scrivere poesia, Virginia gli rivolge parole che suonano come uno sprone e insieme un rimprovero:
«Non devi ritenerti un caso unico, non devi pensare che la tua situazione sia peggiore di quella di tanti altri».
Il consiglio dunque è di osservarsi con maggiore consapevolezza e valutare se stesso non come un caso raro e più difficile di quelli di tanti altri poeti. Anzi:
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4. Ricorda che sei un continuatore dei poeti che ti hanno preceduto
Non solo John non deve pensarsi unico, ma deve anche considerarsi come:
«qualcuno di più modesto e meno spettacolare – e a mio parere ben più interessante – un poeta in cui convivano tutti i poeti del passato e da cui col tempo quegli stessi poeti potranno emergere. […] tu sei un loro continuatore, sei un antico, grandioso personaggio: per cui ti prego di trattarti con rispetto».
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5. Resisti alla necrofilia
Se, da un lato, Virginia consiglia a John di essere consapevole della sua posizione rispetto a chi l’ha preceduto, dall’altro lo ammonisce a non diventare necrofilo, ricordandogli di quel tal Peabody
«che rischiò di soffocare per un pezzo di pane e burro andatogli di traverso: la soddisfazione che avrebbe tratto dal ricongiungersi con Plinio il Vecchio nelle ombre dell’Ade, non gli sarebbe stata, credo, di grande consolazione».
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6. Non rinchiuderti in te stesso
A questo punto Virginia si rivolge a John e a tutti quei poeti che hanno separato il proprio mondo interiore da quello esteriore, e che anzi considerano la realtà come qualcosa di deleterio per la poesia:
«Solo per caso vi ritrovate chiusi in una stanza, soli con voi stessi. Ma come farete a uscirne, a mescolarvi con altre persone? Questo è il problema: e, se posso azzardare un’ipotesi, sta a voi, ora che sapete chi siete, trovare il giusto rapporto tra il vostro io e il mondo esterno».
Woolf riconosce quanto questo sia un problema difficile da risolvere, ma al tempo stesso pone più volte l’accento su tale aspetto perché appunto lo considera cruciale.
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7. Lasciati guidare dal tuo ritmo
Ma come aprirsi al mondo esterno? Come osservarlo? Come trasformarlo in poesia?
«Tutto quello che dovete fare adesso è andare alla finestra e lasciare che il vostro senso del ritmo si apra e si chiuda […] lascia che il tuo senso del ritmo si intrufoli tra uomini e donne, omnibus e passeri – qualunque cosa stia passando per strada –, e leghi quel qualunque in un tutto armonioso».
***
8. Scrivi un poema lungo
Il consiglio della Woolf è ancora più preciso:
«farai bene a imbarcarti in un lungo poema in cui persone diversissime da te parlino a voce alta».
Perché? Semplice, è l’unico modo per:
«soddisfare le tante emozioni che ti assediano quando stai per metterle in versi – la ragione, l’immaginazione, gli occhi, le orecchie, il palmo delle mani, le piante dei piedi, per non dire dei milioni di cose per le quali gli psicologi non hanno ancora trovato un nome».
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A modo suo, dunque, Virginia Woolf offre molti consigli e altrettanti spunti al giovane aspirante poeta John Lehmann, anche se in alcuni momenti sembrano più rimproveri che altro.
Vi lasciamo però con una definizione di che cosa significa leggere, secondo Virginia Woolf, riportata nella lettera del 7 luglio e che ci sembra davvero molto intensa:
«[…] leggere, lo sai, è un po’ come aprire una porta e lasciarsi invadere da orde di barbari che ti aggrediscono da ogni parte, e ti ritrovi tempestata di calci e pugni, sbatacchiata, graffiata, denudata, lanciata in aria fino a perdere conoscenza, e poi di nuovo riacciuffata, accecata, presa a pugni, sensazioni piacevolissime per chi legge (non c’è niente di peggio che aprire la porta e trovare che fuori non c’è nessuno) – ebbene, tutto ciò mi fa pensare che il poeta in realtà goda di ottima salute».
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