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Hyeonseo Lee, la ragazza in fuga dalla Corea del Nord

Hyeonseo Lee, la ragazza in fuga dalla Corea del NordHyeonseo Lee è l'autrice coreana de La ragazza dai sette nomi (edito da Mondadori nella traduzione di Stefania Cherchi), un libro autobiografico che racconta della fuga dalla Corea del Nord e del viaggio affrontato per sfuggire al regime ma soprattutto ai pregiudizi.

Mentre lo si legge a volte ci si stupisce di come nei media, anche italiani, risalti molto più spesso il lato tragicomico delle vicende che ci arrivano da questo Paese, come per esempio lo spostamento del fuso orario o le storie di ministri fucilati per disaccordi su politiche forestali. Senza un minimo di approfondimento, ci sembrano le pazzie di un qualche regnante che abbiamo sentito soltanto nelle fiabe. La realtà che ci viene raccontata da Lee è molto diversa: si parla di fame, di corruzione e di tanta paura.

Le abbiamo posto alcune domande, durante un incontro alla libreria Mondadori di piazza Duomo a Milano.

 

Lei racconta una realtà piena di campi di concentramento e di prigionia. Quanto si sa all'interno della popolazione coreana di questi luoghi?

Qualcosa si sa. Ad esempio sappiamo che ci sono diversi tipi di campi: quelli di lavoro, quelli di detenzione e quelli politici. Se finisci in un campo politico, il peggiore, non uscirai mai più. Nessuno scappa da quel tipo di prigionia e in pochi hanno raccontato quello che avviene all’interno. Non esci nemmeno da morto perché sparisci dalla circolazione. Quando cresci in Corea del Nord non parli mai di politica, sei educata a non farlo in pubblico. Ho avuto anche l’esperienza di un parente che è stato portato in una di queste prigioni e non abbiamo più saputo nulla.

 

L'uomo medio cosa conosce dell'esterno del Paese? Sa come sono le altre nazioni?

È assolutamente impossibile vedere cosa succede al di fuori della Corea. Il punto è che la gente non sa ma soprattutto non si chiede. Non si hanno mai comparazioni con altri stili di vita. Molti europei hanno vissuto sotto dittature ma al contempo sapevano cosa succedeva al di fuori della loro nazione e che c'erano situazioni migliori. Tra il nostro popolo corre l'idea che noi siamo il popolo migliore, abbiamo un solo canale televisivo che è praticamente solo di propaganda. Io ero fra le fortunate che vivevano al confine con la Cina e ricevevo alcuni stimoli dall'esterno, come i canali televisivi. La mia curiosità ha fatto il resto. La mia generazione è la prima che ha una remota possibilità di avere notizie dall'esterno anche se pure con il figlio del paterno leader non è migliorato nulla. Ma ora qualcuno è più consapevole. Rimane però il divieto di parlare di queste cose.

 

Dalla descrizione che fa della Corea, sembra essere molto legata al suo Paese nonostante la mancanza di libertà? Cosa deve cambiare per far sì che lei possa tornare con serenità?

Quando conoscevo solo il nostro Paese, in fondo ero contenta. Era una vita normale, la nostra vita. Da come ci veniva raccontato dal Grande Leader la Corea del Sud sembrava l'inferno. L'unico posto felice era la nostra nazione e se non ci fosse stato il nostro presidente saremmo finiti proprio come il sud. Io ho ricordi belli e forse è proprio perché non posso tornarci che vedo tutto idealizzato. Resta il fatto che in Corea ho amici e parenti e mi sento ancora legata a loro. In più penso ai cittadini che abitano là e che non hanno molte chance.

Hyeonseo Lee, la ragazza in fuga dalla Corea del Nord

Durante il suo viaggio ha incontrato diversi Paesi che si definiscono comunisti. Secondo lei sono da considerarsi tali? È il comunismo che veramente governa quei popoli?

Penso che il comunismo di per sé sia destinato a collassare. È bello il fatto che tutti siano uguali, nessuno povero e nessuno ricco. In teoria può funzionare, ma nella pratica no. In Corea, ad esempio, anche se non lavoravi ti veniva fornito il necessario per vivere e questo ha portato a un collasso della produttività. Se la Russia, in un primo momento, e la Cina, ancora oggi, non avesse aiutato il nostro Paese non avremmo potuto resistere alle crisi. Comunque la Corea del Nord, pur presentandosi come comunista, non è altro che il regno del Grande Leader e della sua famiglia.

 

Dopo aver visto diversi Paesi, cosa non le piace della società capitalistica? Cosa le sembra inaccettabile?

Il mondo che ho visto mi piace anche se riconosco che neanche questo sistema è perfetto. Ma io vengo da un Paese che sembra pazzo.Non esiste una situazione che funziona al 100%. Anche se consideriamo il comunismo capitalistico cinese troviamo delle cose che non vanno. Io ho vissuto esperienze in questi Paesi e posso dire con che la condizione migliore da trovare per una persona è la libertà. Quando in Corea ci fu la carestia, e morirono milioni di persone, nessuno si ribellava o tentava di uscire da quella situazione. Se il Caro Leader non poteva darci da mangiare allora nessuno poteva darcelo. Le uniche nazioni simili a noi erano Cuba, Iran e Russia e ci venivano descritti anch'essi come paradisi in terra. Ovviamente mi sono dovuta ricredere anche su quello. A Londra ho incontrato una persona che mi disse che odiava il capitalismo e amava il comunismo.

Sono cresciuta imparando prima il nome del Leader di quello dei miei genitori; quando si riceveva un regalo bisognava ringraziare prima il Leader; era obbligatorio salvare dall'incendio della propria casa prima i quadri del Leader che le altre cose all'interno; fin da piccoli si assiste ad esecuzioni pubbliche; intere famiglie sparivano da un giorno all'altro; dove gli addestramenti per gli eventi pubblici erano obbligatori e ti trattavano come una macchina. Veniamo tutti trattati come servi di un re. Se questo è il comunismo, io dico “no, grazie”. L'obiettivo del Leader è tenere tutti ignoranti. Mi ricordo mia madre, che era stata abituata a vedere poche automobili che giravano per le strade, che giunta a Seul si chiese se tutte le macchine che vedeva fossero guidate da robot e non da uomini.

Ignoranza per controllare le persone, ma anche razioni appena sufficienti a vivere, per non dare la forza per sollevarsi in una rivolta.

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Dalla sua fuga si è dovuta ricostruire per ben sette volte una nuova identità. Pensa di potersi sentire a casa in un altro Paese?

Dopo tutto il mio viaggio mi sento una cittadina del mondo, anche se io vorrei tornare a vivere in Corea. Quando sono scappata, sono andata in Cina dove i nordcoreani sono considerati illegali e rispediti al loro Paese, nonostante i cinesi sappiano esattamente che vanno a morire. La Cina sostiene il mio Paese perché ha paura dell'unificazione e mentre vivevo là sono stata trattata male. Nella Corea del Sud per la prima volta ho gustato il piacere di avere dei diritti anche se all'inizio era difficile relazionarsi con i suoi cittadini. Loro associano la cattiveria del Leader ai suoi connazionali che scappano. Nonostante mi senta un po' alienata, la Corea del Sud è la cosa più vicina a ciò che chiamo casa, soprattutto adesso che la gente si sta accorgendo che noi fuggiamo per paura di morire. Il mio sogno sarebbe la riunificazione di questi due Paesi.

Hyeonseo Lee, la ragazza in fuga dalla Corea del Nord

Come è nata l'idea del libro come medium per raccontare la sua storia?

Non mi sentivo in grado di raccontare la mia storia attraverso un libro perché pensavo che li scrivessero soltanto le persone importanti. Poi ho deciso che il libro sarebbe stato sia un mezzo che poteva arrivare a una grande diffusione e sia un diario con cui confrontarmi nel tempo.

Penso che l'informazione sia la più grande arma che si possa utilizzare contro Pyongyange che grazie a La ragazza dai sette nomi molte persone si siano accorte dei fatti che sono accaduti e che tuttora accadono nel mio Paese natale. Spesso si conosce vagamente che esistono problemi con il nucleare, con la libertà e con la politica. Io spero di avere detto qualcosa in più e a quanto pare ho guidato anche alcuni lettori nelle loro scelte personali.

L'obiettivo rimane quello di informare per poter accrescere la possibilità che succeda qualcosa a livello internazionale perché il popolo coreano da solo non può uscirne.Spero anche che vengano fatte delle pressioni sulla Cina affinché smetta di foraggiare Kim Jong-un e di respingere i rifugiati.

Hyeonseo Lee, la ragazza in fuga dalla Corea del Nord

Le sarà capitato in questi mesi di vedere il popolo siriano che fugge dalla propria nazione, come è capitato a lei, e trova un muro nell'opinione pubblica di alcune nazioni che lo considera quasi un invasore. Come si fa a fare breccia in questo muro?

Per esperienza vissuta, rivedo me stessa nei volti dei siriani. Ho sofferto molto in Cina.

Già il fatto che queste persone rischiano la vita per fuggire dovrebbe dirla lunga sulle motivazioni per cui scappano. Siamo persone libere e il nostro dovere dovrebbe essere quello di aiutare le persone meno libere. Bisogna trovare una soluzione, anche perché i rifugiati ci sono oggi e ci saranno, purtroppo, anche domani.

 

Hyeonseo Lee ci lascia, e riparte per un altro Paese, con un messaggio di speranza scritto nella copia dei presenti de La ragazza dai sette nomi: «Thank you for supporting NK human rights».


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