“House of cards” di Michael Dobbs, siamo giunti all’atto finale
È un eccezionale sarto della parola Michael Dobbs, mentre cuce le vicende di House of cards, e in particolare parliamo di Atto finale, terzo e ultimo volume della trilogia, edito in italiano da Fazi Editore, nella traduzione di Stefano Tummolini e Giacomo Cuva. E cuce con un filo sottile, quello dell’inquietudine. Occorre un po’ di tempo per comprendere che cosa sia la sensazione appena percettibile ma persistente che si insinua nell’animo del lettore già dalle prime pagine del romanzo. Poi, però, a tratti, appare chiaro quel senso di profonda irrequietezza.
Due bambini vengono uccisi. Crudelmente. Bruciati vivi. Sono ciprioti e colpevoli di aiutare i ribelli compatrioti nella resistenza contro gli inglesi. Sono colpevoli perché trasportano armi e non prendono abbastanza sul serio l’importanza di ciò che hanno per le mani. Sono colpevoli di essere bambini nel mezzo di una piccola guerra. In cuor loro, avrebbero voluto diventare eroi. Loro non sono gli unici, però, a voler restare nella storia. Anche Francis Urquhart vorrebbe diventare un eroe. E vorrebbe togliersi di dosso la frustrazione che percepisce davanti allo scenario che gli si apre su quei monti ciprioti. Quei bambini, in fondo, hanno voluto giocare alla guerra per davvero. Urquhart non può far altrimenti che accontentarli. In quello stesso gioco c’è la sua reputazione, la sua dignità e molto probabilmente anche il suo futuro. Se i due bambini non hanno il tempo per diventare eroi, Urquhart lo ha. E non diventerà un eroe qualsiasi: Urquhart raggiungerà le vette e sarà il più longevo primo ministro del governo britannico.
L’irrequietezza, che si estende sempre più palpabile man mano che si entra nella vita di Francis Urquhart, nasce a anche dall’attrazione che la figura di questo primo ministro esercita sui lettori, nonostante abbia ucciso spietatamente due bambini per salvarsi la carriera. Si è attratti proprio come se fossimo la sua nuova segretaria personale, donna dai principi – quasi – sani e dai grandi ideali, e altrettanto grandi ambizioni.
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Dobbs spalanca le porte sulla politica, sulle sue acque torbide, sui suoi intrighi, proseguendo il cammino intrapreso con House of cards Vol. I e Scacco al re, i primi due volumi della trilogia. A tratti si ha la sensazione che venga descritto un certo antico Olimpo popolato da dèi nei quali si rispecchiano le debolezze e i desideri nascosti dei comuni mortali. Non ci sono molte buone ragioni per pregare queste nuove divinità. Sono sorde, meschine, arriviste, egocentriche. E amano il potere. Solo chi riesce a tenere in pugno gli altri può ricoprire il ruolo di Zeus. Urquhart li ha tutti ai suoi piedi oppure li ha resi innocui. Almeno, secondo lui.
Nella vita si può correre, ci si può nascondere da tutto. Tranne da se stessi. E dal passato. Seguendo una legge non scritta dell’universo, il passato può sempre tendere i suoi tentacoli nel presente, rendendo l’esistenza simile a un castello di carta, House of cards, per dirla in inglese, come Dobbs. Almeno, per Urquhart sembra che il destino abbia preparato questo epilogo dopo un tempo superiore a ogni predecessore, come primo ministro.
Ha poche paure Urquhart. Teme solo il tempo, le sue insidie e le sue capacità corrosive delle energie umane. Il mondo della politica richiede lucidità, bisogna essere abili giocatori di scacchi che anticipano non solo la mossa successiva dell’avversario, bensì le prossime dieci. Oppure, bisogna giocarsi tutto, come a una roulette, puntando sul cambiamento.
Si tratta di fiction, ma il sapore che si percepisce fa pensare che non si sia molto distanti dalla realtà. Non è un mistero per nessuno che il mondo della politica sia poco limpido, per scegliere un primo termine evitando di allungare l’elenco degli aggettivi possibili. Quello che non si conosce è il quanto. Michael Dobbs, con il terzo volume di House of Cards, offre un assaggio al grande pubblico, rendendo urgente una riflessione.
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