“Heaven” e la scelta di essere diversi di Mieko Kawakami
«Un giorno, verso la fine di aprile, trovai un bigliettino nel portapenne. Era infilato tra due matite, dritto come se fosse in piedi. Lo aprii e lo lessi. C’era scritto: ‘Io e te siamo uguali’. Nient’altro».
È così che inizia Heaven, romanzo di Mieko Kawakami (pubblicato in Italia da edizioni e/o con la traduzione di Gianluca Coci) che ci trasporta nel Giappone degli anni ’90 nel momento esatto in cui nasce l’amicizia fra Occhi storti e Kojima, due adolescenti accumunati dalla loro diversità.
Una diversità obbligata per il primo (Occhi storti è affetto da strabismo) e rivendicata dalla seconda (Kojima invece rifiuta di lavarsi o pettinarsi, indossando sempre gli stessi logori vestiti per sentirsi più vicina al padre che vive in povertà, mentre lei, sua madre e il suo patrigno abitano in un’opulenta villa). Attorno a loro, una classe di quattordicenni che identificano nei due protagonisti le vittime perfette per scherzi, umiliazioni e violenze quotidiane da cui non è possibile fuggire.
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Occhi storti e Kojima percorrono le loro giornate chiusi in loro stessi, lo sguardo basso, la bocca serrata, il corpo inerme arrotolato attorno alla loro anima ferita e la consapevolezza che non c’è modo di sfuggire al loro destino. Il gruppo di fedeli aguzzini sembra essere stato creato apposta per fargli del male e tentare di resistere o combattere li renderà solo più feroci. Entrambi i protagonisti si sono abituati a vivere in solitudine, immersi nel loro silenzio, sperando solo di diventare invisibili, semplici oggetti, come un orologio appeso al muro che vede e sente tutto, senza che nessuno lo noti. E se il rapporto epistolare che nasce fra loro, fatto di un continuo scambio di domande taglienti sul senso della vita (Kojima) e dubbi insondabili sulla loro volontà di continuare a esistere (Occhi storti), li fa sospettare di non essere soli al mondo in quella battaglia per l’invisibilità, la realtà che cuce attorno a loro Kawakami li riporta all’angolo senza pietà, privandoli gradualmente di ogni spazio di condivisione.
Non sappiamo quanto di autobiografico ci sia in questa storia narrata in prima persona da Mieko Kawakami (anche lei era una quattordicenne nei primi anni ’90 e come Kojima ha vissuto il distacco forzato dalla figura paterna), ma leggendo le meticolose descrizioni delle violenze fisiche e psicologiche subite dai due protagonisti (spesso ai limiti del reato) e il godurioso distacco con cui i loro persecutori le mettono in atto, sicuri di non subire alcuna conseguenza, possiamo immaginare che, come tanti di noi, l’autrice si sia trovata nel ruolo di vittima almeno una volta nella sua vita di adolescente. E se è naturale, fin dalle prime pagine, tifare per Occhi storti e Kojima, con tutte le loro paure, contraddizioni e nevrosi, desiderando mettere giù il libro e trasformarsi in inchiostro, pur di entrare nella storia e salvarli dall’ennesimo attacco, la figura dei persecutori risulta meno ricca, offrendoci spesso figure bidimensionali il cui unico ruolo sembra quello di aguzzini, scomparendo in una nebbia indefinita non appena perdono funzionalità ai fini della trama. Così è per Ninomiya, il capo dei bulli, il suo seguito incolore e persino per Momose, “bullo filosofo” che offre a Occhi storti la sua idea sulla neutralità della violenza, azione interscambiabile con qualsiasi altra, guidata dal caso e dalla mera possibilità di attuarla, piuttosto che dalla voglia di ferire qualcuno.
Lo stile di Mieko Kawakami (autrice del best seller internazionale Seni e uova) è pulito ed elegante, con un linguaggio che, a tratti, appare troppo ricercato per dei quattordicenni, con tendenze solipsistiche e filosofiche che possono indebolire il ritmo narrativo, congelando l’azione in giravolte di parentesi dall’indubbio gusto letterario, che costringono però il lettore a mettere in stand by il flusso degli eventi. Qualche perplessità anche sul finale (su cui non faremo spoiler), che è sembrato troppo repentino rispetto al ritmo della storia, come se l’autrice, provata dall’alto tasso di emotività delle vicende di Occhi storti e Kojima, abbia avuto bisogno di chiuderle, senza offrire al lettore il tempo per assorbirle.
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Heaven rimane un libro di grande interesse, non solo perché ci offre una finestra privilegiata sulle dinamiche adolescenziali in un paese come il Giappone, che elegge la performance individuale a retaggio familiare, ma soprattutto perché ci dimostra l’universalità del dolore che l’adolescenza può generare in chi per scelta o per nascita non si sottrae alla ‘lettera scarlatta’ della diversità da cui invece tanto si potrebbe imparare.
Per la prima foto, copyright: Andrew Le su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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