Grandi fotografi grandi narratori – 18 Alfred Stieglitz
Alla fine del diciannovesimo secolo la fotografia, dopo circa sessant’anni di vita, non ha ancora acquisito un ruolo nell’ambito delle arti figurative. In linea di massima, gli artisti tendono a considerarla secondo due opposti punti di vista: alcuni vedono in essa la fine della pittura su tela, come Paul Delaroche che si dice esclamasse “da oggi la pittura è morta” contemplando il primo dagherrotipo, mentre altri la considerano un ausilio tecnico per migliorare il proprio modo di dipingere. Molti ritrattisti, ad esempio, anziché sottoporre i soggetti a estenuanti ore di posa, scattano loro numerose fotografie sulle quali basarsi per lavorare poi in tutta calma.
La fotografia viene comunque considerata a lungo un prodotto statico, adatto a riprodurre persone o paesaggi alla stregua di quadri dipinti, ed è per questo che sono molto diffuse le pratiche del ritocco manuale in sede di stampa, alla ricerca di un tono il più possibile “pittorico”.
Alfred Stieglitz (Hoboken, 1°gennaio 1864 – New York, 13 giugno 1946) è senza dubbio l’esponente principale di un largo movimento, che coinvolse numerosi fotografi tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo e che prende appunto il nome di “pittorialismo”, inteso come rivendicazione di una vocazione artistica dell’immagine fotografica, in contrapposizione a quelli che erano già diventati i suoi utilizzi commerciali, industriali e giornalistici.
Stieglitz nasce durante la guerra civile americana da una famiglia benestante di origini tedesche.
Nel 1882 viene mandato in Germania a studiare ingegneria meccanica, ma è frequentando i corsi tenuti da Wilhelm Vogel, pioniere della fotochimica, che sviluppa una grande passione per la fotografia, facendone presto la sua attività principale. Tornato a New York nel 1890, fonda diverse riviste per propagandare le sue teorie sulla fotografia intesa come arte, diventando presto un punto di riferimento per molti altri colleghi già seguaci del pittorialismo. La più importante e duratura di queste riviste, Camera Work, esce dal 1902 al 1917 e diventa l’espressione del gruppo “Photo-Secession”, nel quale entrano tutti coloro che in realtà rifiutano alcuni aspetti del pittorialismo, come il ritocco manuale che viene giudicato una versione scadente della pittura su tela: secondo loro è lo sguardo del fotografo che deve cercare di rendere pittorica la sua immagine al momento dello scatto, mentre la macchina fotografica resta un mero strumento tecnico, del tutto neutrale.
Pochi anni dopo, nel 1905, alla ricerca di un luogo dove esporre al pubblico le sue immagini e quelle degli altri esponenti del gruppo, Stieglitz apre un locale chiamato “Little Galleries of the Photo-Secession”, presto ribattezzato più semplicemente “Gallery 291” dal numero civico della sua sede sulla Quinta Strada.
Qui, sempre più interessato al rapporto fra la fotografia e l’arte contemporanea, ospita anche mostre di pittura, scultura e grafica, presentando per la prima volta al pubblico americano opere di artisti europei come Matisse e Rodin, oltre che incoraggiare il lavoro di giovani fotografi destinati alla celebrità, tra cui Ansel Adams.
Agli occhi delle generazioni successive, le più famose immagini di Stieglitz appaiono come documenti importanti della sua epoca, benché in realtà, per sua stessa ammissione, nascessero da un’incessante ricerca estetica più che da indagini di tipo sociologico.
Chi ad esempio guarda oggi The Steerage (il ponte di terza classe), forse la sua foto più celebre, nota subito il contrasto tra le differenti classi di passeggeri in attesa d’imbarcarsi sul transatlantico, mentre l’autore, nelle sue memorie, raccontava di come amasse l’aspetto estetico di una composizione incentrata sul bianco del ponte e del cappello dell’uomo ritratto al centro di esso.
Fino al 1937 Stieglitz alterna la sua attività di gallerista e divulgatore a quella di fotografo: celebri sono i numerosi ritratti della pittrice Georgia O’Keeffe, divenuta poi sua moglie, e la serie chiamata Equivalents, straordinarie immagini di nuvole che nelle sue intenzioni erano “equivalenti” a differenti stati d’animo. Una lunga malattia lo condusse poi alla morte nel 1946.
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