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Grandi fotografi grandi narratori 16 - Diane Arbus

Grandi fotografi grandi narratori 16 - Diane ArbusNel 2006 il regista americano Steven Shainberg ha firmato la regia di Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus, in cui Nicole Kidman  impersonava una delle più celebri e discusse fotografe statunitensi, in una biografia che, per quanto parecchio romanzata, ha avuto  il merito di far conoscere al vasto pubblico le opere molto particolari di questa autrice (New York, 14 marzo 1923 – 26 luglio 1971).

Diane nasce come Nemerov, secondogenita dei tre figli di una ricca famiglia di ebrei polacchi, proprietari della catena di pelliccerie “Russek’s” (dal nome del nonno): il fratello Howard diventerà uno dei maggiori poeti americani contemporanei, la sorella Renée un’affermata scultrice, e la stessa Diane viene incoraggiata dal padre, a sua volta discreto pittore,  a seguire la propria vena artistica frequentando corsi di disegno.

A quattordici anni, la giovane ereditiera s’innamora di Allan Arbus, allora semplice commesso di uno dei negozi di famiglia, e al compimento dei diciotto anni lo sposa, contro il parere della famiglia, con la quale resta comunque in buoni rapporti: del resto è scattando le foto pubblicitarie per i negozi “Russek’s” che Allan e Diane eseguono il loro primo lavoro insieme, prima della partenza di lui per la seconda guerra mondiale come fotografo dell’esercito.

Al termine della guerra la coppia apre uno studio fotografico, dove Diane in principio si limita ad assistere il marito nella realizzazione di servizi di moda, ma studiando nel frattempo con vari autori, tra cui Lisette Model, fotografa e insegnante di origini austriache, nota negli anni ’40 per le sue immagini molto realistiche e anticonvenzionali. È grazie ai suoi consigli che Diane, pur continuando ancora per alcuni anni la collaborazione col marito, dal quale nel frattempo ha avuto due figlie, inizia a scattare immagini per conto proprio, allontanandosi dal mondo patinato delle riviste di moda e andando in cerca di quella “realtà” da cui nascita ed educazione l’avevano sempre tenuta lontana.

Si aggira così nei quartieri poveri, armata di una Nikon 35 mm di cui in principio fatica a padroneggiare l’esposimetro, così che le sue prime foto, sempre in bianco e nero,  appaiono molto sgranate e fortemente contrastate, con i soggetti spesso rischiarati da un flash bianco che li stacca dal fondale oscuro;  frequenta luoghi del tutto anomali come l’Hubert’s museum, una sorta di ricettacolo per fenomeni da baraccone, o certe zone oscure di Coney Island. In seguito impara a usare apparecchi a medio formato, passando alla Mamya e poi a una Rollei che sarà la macchina preferita negli ultimi anni.

Siamo nel mondo dei “freaks”,  immortalati nel 1932 dall’omonimo film di Tod Browning che è per lei un oggetto di culto: sono i diversi, gli anormali, i borderline che di certo non aveva mai avuto modo di frequentare nel corso della sua giovinezza dorata, che però per Diane non sono soltanto soggetti da fotografare, ma persone con cui instaura dei rapporti duraturi nel tempo, guadagnandosene  fiducia e  amicizia fino a fotografarli nelle pose e nei luoghi più intimi. Inquadrandoli dal mirino a pozzetto delle macchine a medio formato, la fotografa cerca di rendersi meno invadente possibile.

Grandi fotografi grandi narratori 16 - Diane ArbusNani e giganti, travestiti e prostitute, gemelli inquietanti e ritardati mentali popolano i suoi scatti, etichettandola presto come “fotografa dei mostri”: si dice che le sue foto esposte per la prima volta al MOMA nel 1965 dovessero essere spesso ripulite dagli sputi dei visitatori, anche se a partire dallo stesso anno Diane inizia a insegnare con successo in varie scuole di fotografia. Migliore accoglienza ha la sua mostra personale del 1967, tuttavia il crescente successo non le impedisce di cadere in preda a una pesante forma depressiva, che la porta a suicidarsi il 26 luglio del 1971 tagliandosi i polsi nella vasca da bagno.

Stanley Kubrick, che l’aveva frequentata negli anni in cui era un giovane fotografo, le ha reso omaggio con una citazione nel suo film “Shining”, dove l’apparizione delle inquietanti gemelline è chiaramente ispirata a una delle foto più famose di Diane Arbus, le “gemelle identiche di Roselle” del 1967.

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