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God Save (and Bless) Oscar Wilde. “L’Importanza di chiamarsi Ernesto” di Bruni e Frongia

God Save (and Bless) Oscar Wilde. “L’Importanza di chiamarsi Ernesto” di Bruni e FrongiaSulla scia del grande successo ottenuto nel 2017, il Teatro Elfo Puccini di Milano riporta sulla scena L’Importanza di chiamarsi Ernesto. La più celebre delle commedie del grande Oscar Wilde rimarrà sulle scene milanesi sino al 31 dicembre 2019, facendoci chiudere l’anno in bellezza e spensieratezza, grazie all’atmosfera squisitamente dandy che si respira in questo riuscitissimo allestimento. Alla regia troviamo due colonne portanti dell’Elfo Puccini, ovvero Ferdinando Brunie Francesco Frongia, i quali dimostrano, come sempre, una grande riverenza nei confronti dell’autore del testo in scena, unita alla capacità proporci interessanti chiavi di lettura.

L’amore di Bruni e Frongia (e del direttivo dell’Elfo Puccini, in particolare) per la drammaturgia anglosassone è ben nota e si respira fin dall’ingresso in teatro, dove un poster raffigurante la bandiera britannica arricchita dal faccione di Oscar Wilde ci preannuncia il ritorno alle scene di “God Save Oscar”, un programma che promette di farci innamorare di questo geniale artistaancora di più, grazie alla messa in scena di due spettacoli tra loro speculari: L’Importanza di chiamarsi Ernesto e Atti Osceni (in scena il prossimo gennaio), un testo di Moisés Kaufman che racconta in modo straordinariamente vivido e commovente i tre processi a Oscar Wilde. La tragicità del secondo testo è ben compensata dalla sagace ironia dell’Ernesto, in una originale riflessione sul tema del doppio, così centrale nella vita di Wilde e su cui si costruisce l’intero gioco della commedia.

 

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«Ho finalmente capito l’importanza di essere Earnest… Ernesto? Franco? Onesto? Oppure Probo?» in una sola battuta, quella conclusiva, lo spettacolo di Bruni e Frongia svela l’insidia più grande che cela la più famosa tra le commedie di Wilde: la traduzione. Come trovare un corrispettivo italiano all’inglesissimo pun offerto dal nome Earnest? Questa domanda, evidentemente, deve ancora trovare una risposta, perché qui i nomi dei personaggi non sono tradotti, ma spesso – come nel caso di “Earnest” – vengono pronunciati con un inglese quasi esagerato, sottolineandone – o esasperandone – la comicità. Sono i due registi a curare la traduzione del testo, anche se sarebbe più corretto, forse, parlare di adattamento più che di traduzione. Il testo originale, infatti, viene modellato con grande cura su precise scelte registiche che riescono a non sminuirne l’arguzia e l’ironia di fondo. Nulla è lasciato al caso: ogni elemento di questa riuscitissima messa in scena si integra perfettamente con gli altri, riuscendo a catturare l’attenzione – e le risate – degli spettatori per oltre due ore.

God Save (and Bless) Oscar Wilde. “L’Importanza di chiamarsi Ernesto” di Bruni e Frongia

Quella che vediamo in scena è una commedia brillante che ricorda le più celebri sit-com televisive, anche grazie a una scenografia che strizza l’occhio all’atmosfera della Swinging London degli anni Sessajta e alla pop-art, contribuendo a creare un ambiente divertente e ai limiti del surreale. Uno sfondo bianco fa risaltare gli arredi coloratissimi e gli eccentrici costumi dei personaggi, ma quello che attira veramente la nostra attenzione è il gigantesco ritratto di Oscar Wilde che ci viene riproposto in tre versioni diverse, a seconda dell’atto. L’autore è parte integrante della messa in scena. La sua presenza si percepisce a ogni battuta e non stupisce, dunque, vedere attori e registi voltarsi verso il ritratto di Wilde a fine spettacolo per rendergli omaggio.

Wilde, che in vita è stato maestro di stile e promotore dell’anticonformismo e dell’eccentricità, trova qui nuova vita grazie a personaggi che vengono accentuati ed esasperati sino alla caricatura. I costumi, già menzionati, sono parte integrante della caratterizzazione dei personaggi e ci danno informazioni sul loro conto: l’irreprensibile Miss Prism, ad esempio, interpretata da un’eccezionale Cinzia Spanò, viene corredata di una giacca da generale, un paio di occhiali e un’acconciatura severa che ci richiamano immediatamente la Sig.na Rottenmeier, mentre la Gwendolen di una fantastica Elena Russo Arman fa il suo ingresso in scena con abiti dai colori sgargianti e con enormi occhiali che ci indicano subito la sua miopia.

God Save (and Bless) Oscar Wilde. “L’Importanza di chiamarsi Ernesto” di Bruni e Frongia

Esasperati sono anche i movimenti, che ricordano una coreografia ben studiata che se, da un lato, regala colore e fluidità a un testo altrimenti “statico”, dall’altro rischia di sfociare nella farsa. Bruni e Frongia, inoltre, scelgono di modellare i personaggi della commedia nella dimensione del gender fluid, in perfetta linea con il canone wildiano. Il rapporto tra i personaggi e il modo in cui questi prendono vita rimanda continuamente a questa voluta ambiguità di genere. Memorabile, ad esempio, è la scena in cui Algernon e Jack/Earnest cantano e ballano I will survive di Gloria Gaynor. Ma va bene così. Tutto funziona perfettamente. Del resto, ce lo ricorda anche Wilde nella commedia: «Nelle questioni importanti ciò che conta è lo stile e non la sincerità». E questo spettacolo di stile ne ha da vendere.

God Save (and Bless) Oscar Wilde. “L’Importanza di chiamarsi Ernesto” di Bruni e Frongia

Personaggi, dunque, che sembrano provenire dai cartoni animati – come hanno dichiarato gli stessi registi in un’intervista – e che restano indelebili nella nostra memoria. Meraviglioso l’Algernon di Riccardo Buffonini, vera star di questa produzione. Lodevoli anche le interpretazioni di Luca Torracca (Reverendo Chasuble) e di Nicola Stravalaci (Lane/Merriman), mentre non convince del tutto la Lady Bracknell di Elena Ghiaurov, forse troppo giovane per questo ruolo.

 

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L’essenza dell’interpretazione di Bruni e Frongia di questo straordinario classico della letteratura mondiale, per concludere, può essere riassunta in tre parole chiave: esasperazione, queerness e deferenza. Se le prime due trovano immediata risonanza nella poetica wildiana e nella vita personale dell’autore, la terza si vuole rivolgere direttamente allo stesso: lo spettacolo è, innanzitutto, un omaggio a Wilde, una celebrazione del suo enorme contributo artistico al mondo della cultura e alla modernità in generale. L’Importanza di chiamarsi Ernesto non smetterà mai essere rappresentato, questo è sicuro. Se poi chi lo mette in scena, riesce anche a farci uscire da teatro con un sorriso sulle labbra e più di una riflessione concreta nella mente, come in questo caso, allora neanche noi smetteremo mai di andare a vederlo. God Save (and Bless) Oscar, dunque, ma anche Bruni e Frongia!


3 - 31 DICEMBRE 2019

Regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

luci Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli

con Riccardo BuffoniniGiuseppe LaninoElena Russo Arman, Elena Ghiaurov, Luca Toracca, Cinzia Spanò, Camilla Violante Scheller, Nicola Stravalaci

assistente alla regia Giovanna Guida
assistente ai costumi Saverio Assumma

 

produzione Teatro dell'Elfo con il sostegno di Fondazione Cariplo

Spettacolo sostenuto nell'ambito di NEXT 2017/18

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