Gli ultimi saranno i primi? Gli Italiani, i Giapponesi e il problema della lettura matematica
Qualche settimana fa l’OCSE ha pubblicato uno studio che ha generato molte polemiche nel nostro Paese. Si tratta del Programme for the International assessment of adult competencies (Piaac), con il quale si esaminano i livelli di conoscenze e capacità delle popolazioni adulte (16-65 anni) in tre aree ritenute fondamentali per lo sviluppo di una nazione: literacy (lettura/comprensione/scrittura di testi), numeracy (comprensione e risoluzione di problemi matematici) e problem solving (utilizzo delle proprie conoscenze linguistiche e matematiche per risolvere problemi inattesi).
Le polemiche sono nate da una frase del nostro ministro del lavoro Giovannini sulla scarsa “occupabilità” degli Italiani. L’OCSE ci dice che l’Italia è agli ultimi posti per la literacy e la numeracy, mentre per il problem solving non è riuscita a completare l’indagine. Davanti a noi oltre al Giappone, primo al mondo sia per capacità di lettura e scrittura dei suoi abitanti che per risoluzione di problemi matematici, troviamo i consueti Paesi dell’Europa settentrionale, alcune nazioni asiatiche emergenti, ma anche piccole realtà del Sud dell’Europa come Cipro.
In un articolo intitolato Molte storie per analfabeti apparso sul settimanale «Internazionale» del 18 ottobre 2013, Tullio De Mauro cerca di approfondire la questione, andando oltre le levate di scudi che i sindacati prima e i social network poi hanno issato a difesa dell’italianità.
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Fra i vari spunti interessanti offerti da De Mauro c’è il confronto fra il Giappone virtuoso e l’Italia peccatriceche tentarono di diventare uno stato moderno negli stessi anni dell’Ottocento con esiti molto diversi. Il Giappone puntò tutto sull’alfabetizzazione e all’inizio del Novecento non c’era giapponese privo di licenza elementare, risultato che l’Italia ha raggiunto settant’anni più tardi. Eppure mentre gli Italiani s’indignavano e protestavano per cielo e per twitter, mettendo in discussione i dati dell’OCSE, i Giapponesi cercavano di capire come potevano migliorare ancora.
Un modo di vedere le cose che deriva da un concetto di partecipazione collettiva allo sviluppo della nazione che, sebbene in Giappone sia spesso troppo spinto, basta dare una lettura ai romanzi di Murakami Haruki per capirlo, ci potrebbe insegnare l’arte della tenacia, della visione prospettica e della messa in discussione di noi stessi, abitudine da cui può nascere solo qualcosa di buono (Zygmunt Bauman insegna).
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