Gli ultimi anni di Vincenzo Cardarelli
«Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte».
Così scriveva Vincenzo Cardarelli in una delle sue poesie, quasi un augurio a se stesso questo di morire senza sentirsi aggrediti. E invece possiamo dire che non fu così perché i suoi ultimi anni possono essere considerati una vera e propria aggressione della morte che si servì delle sue armi più temibili: la malattia e la povertà.
A raccontarlo, oltre alle note biografiche, è anche lo scrittore, poeta e traduttore Libero Bigiaretti, tra gli ultimi amici di Cardarelli, nell’introduzione all’edizione del 1968 di Villa Tarantola all’interno della collana I premi Strega curata dal Club degli editori.
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E proprio a Bigiaretti ci affidiamo per raccontare gli ultimi anni di Vincenzo Cardarelli.
Il Premio Strega assegnatoli nel ’48 aveva avuto, credo, nell’intenzione di ogni votante, il valore e il significato di un recupero, di un riconoscimento di tutta l’opera, ormai conclusa. Aveva richiamato sul nome di Cardarelli la rispettosa attenzione di chi già lo conosceva, ma correvano tempi poco propizi per avvicinare alle sue pagine nuovi lettori. E lo stesso Cardarelli in qualche modo incoraggiava la disattenzione e la dimenticanza altrui. In quegli anni estremi, tra il ’50 e il ’59, già lontani dalla stagione creativa, si rideva della sua abitudine, o mania, di indossare soprabito e sciarpa anche durante la «sudaticcia e sciroccosa» estate romana. Passava lunghe ore della giornata seduto a un tavolo all’aperto di quel caffè. Qualcuno, ogni tanto, gli si avvicinava tentando di estorcere alla sua voce, ingarbugliata dalla paralisi, una di quelle sentenze fulminanti, di quelle battute sferzanti per cui un tempo era famoso […].
Molti di noi conservano tutt’altra immagine di Cardarelli; i più anziani dei suoi conoscenti, ormai pochissimi, lo ricordano al tempo della famosa rivista “La Ronda”, negli anni del primo dopoguerra; altri lo hanno inteso parlare e sermoneggiare, profeta armato di ironia, di gusto e di cultura, fino agli anni della seconda guerra mondiale, per l’appunto da un tavolo dell’Aragno. Cardarelli, si può dire, vi stava di casa e vi teneva cattedra da un quarto di secolo.
Un’altra ingiuria o disgrazia, fu quella di una decadenza fisica molto precoce, incominciata dopo i cinquant’anni, e accettata senza resistenza. Del resto Cardarelli non ha mai lodata la giovinezza, neppure quando poteva dirsi giovane di anni e il «giovanismo» veniva esaltato da tutti quale carattere distintivo del regime. Egli opponeva: «Si fa un gran parlare di gioventù ai giorni nostri. Si portano i venti anni come un privilegio. Quando noi avevamo vent’anni il nostro più ardente desiderio era di giungere ai quaranta, al più presto».
Nell’ottobre del 1946, cioè a cinquantanove anni, stretto dal bisogno e sbigottivo dai mutamenti e dalle richieste che agitavano la società italiana, Cardarelli mi scrisse una lettera, rimasta inedita fino a questo momento, nella quale è dichiarata in modo straziante la stanchezza di una esistenza difficoltosa, marginale, vagabonda e, insieme, sedentaria; la quale si avviava alla conclusione con più perdite che profitti nonostante l’ingente investimento di ingegno poetico e di dirittura morale. La lettera è la seguente:
Caro Bigiaretti,
in questo precoce inverno io languo e soffro in una cameretta esposta a tramontana dove è escluso che un raggio di sole possa scendere a lambire il mio davanzale. E tremo, perché non dirlo?, pensando alla morte che s’avvicina altrettanto precoce, che mi ha già in sua balia. L’anno ch’è trascorso è stata una cuccagna. Avevo voglia di rivedere Roma dopo tanta assenza. Avevo degli articoli nella valigia, vecchi e nuovi. E me la sono cavata vittoriosamente. Ma ora gli articoli sono finiti. Ne ho ancora cinque o sei al massimo. Le mie condizioni, che tutti conoscono, non mi permettono di lavorare. Che fare dato che non ho il coraggio di uccidermi?...
…
Non aggiunto altro perché non ne ho la forza. Se vuole avere la cortesia di telefonarmi, nell’ora dei pasti, il mio numero è 360810.
Spero che possa dirmi una parola rassicurante.
La saluto, caro Bigiaretti, e le auguro mille buone cose.
Vincenzo Cardarelli
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La grossolana confidenza che si prendevano con il vecchio poeta ammalato, amici improvvisati che egli non avrebbe mai tollerato anni prima, offriva un contrasto insopportabile con il rispetto – e magari con l’avversione – che Cardarelli aveva ispirato, per molto tempo.
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