Gli insegnanti: solo 18 ore a settimana?
Qualche giorno fa, il nostro direttore, Morgan Palmas, forse con intenti provocatori, forse come reazione allo stress di giornate di lavoro troppo lunghe, ha pubblicato un breve post su Facebook:
«Qualcuno è riuscito a dirmi che 18 ore sono tante come ore di lavoro per gli insegnanti. Tante?! La gran parte dei lavoratori fa fra le 36 e le 40 ore a settimana, per non parlare degli straordinari che spesso sono pagati una miseria, inoltre le ferie annuali pagate non sono 15 giorni a Natale più quasi 3 mesi di estate, ma molto meno.
Gli insegnanti si difendono e dicono che ci sono i compiti e le lezioni da preparare. Benissimo. Supponiamo un'ora al giorno per correggere i compiti e un'ora per preparare una lezione che nel corso degli anni sono lezioni che si standardizzano, supponiamo da lunedì a venerdì, aggiungiamo così alle 18 ore altre 10 ore, e fa 28 a settimana, e siamo stati generosi. Rimane il fatto che ci sono 15 giorni a Natale di ferie e quasi 3 mesi d'estate.
E non dimentichiamo che nel pomeriggio sono non pochi gli insegnanti che fanno ripetizioni.
Ora, con tutta la prudenza del caso e con tutto il rispetto che gli insegnanti meritano, se l'argomento è 18 ore sono troppe, no, allora ci si prende forse per i fondelli. Voi che cosa ne dite?»
Il tenore di quanto scritto rende ingiustificabile la presa di posizione del nostro direttore, indipendentemente dalle ragioni che l’hanno generata, e questo per una serie di motivi. Volendo soffermarci solo sulle tre argomentazioni su cui si fonda il post, proviamo a esaminarle con riferimento agli insegnanti regolarmente assunti con contratto a tempo indeterminato (che rappresentano l’80% del corpo docente italiano, come da Rapporto Commissione europea/EACEA/Eurydice, Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa, Edizione 2013, pag. 53, figura B8), visto che gran parte della discussione s’incentra su di loro, come possibili detentori di diritti (o privilegi) che altri lavoratori non avrebbero (gli esempi usati nel corso dell’articolo si riferiscono alle scuole secondarie superiori, ma, fatti gli opportuni distinguo, possono essere riferiti anche agli altri gradi del sistema scolastico, ad eccezione delle scuole pre-primarie, per le quali sussiste un’organizzazione differente).
15 giorni di vacanze a Natale: queste hanno di solito inizio il 24/12 (incluso) e si concludono il 06/01 (incluso), quindi i giorni di vacanza sono 14, e non 15, anche se, per alcune scuole, il periodo di vacanze, nel 2013, è iniziato il 23/12, ma il giorno in più di sospensione dovrà essere recuperato in seguito. Utilizzo il termine “vacanze”, perché gli insegnanti, in quel periodo, non sono tenuti a nessun’attività extra-didattica. Mi si potrebbe rispondere che molti insegnanti, durante il periodo natalizio, svolgono altre attività, come, ad esempio, correggere compiti o preparare le lezioni, ma questo rientra non in un obbligo imposto dall’esterno, quanto in una loro precedente decisione di non preparare le lezioni prima o di fissare compiti in classe a ridosso delle festività natalizie, dato che, per alcune categorie di insegnanti, sussiste l’obbligo di effettuare due prove scritte per il trimestre e tre per il pentamestre, senza indicazione di una data precisa per ognuna delle prove. Diverso è il caso degli studenti, per i quali si può parlare di sospensione dell’attività didattica e non di vacanza, perché, durante il periodo natalizio, sono tenuti a svolgere compiti che saranno oggetto di valutazione e verifica.
Devo, quindi, affermare che quanto scritto dal nostro direttore è parzialmente errato perché aggiunge un giorno di vacanza a quelli goduti dagli insegnanti.
Non entro nel merito delle festività pasquali, anche se varrebbe lo stesso discorso, in quanto il numero di giorni non festivi (cioè, quelli non indicati in rosso da calendario) sarebbe davvero irrisorio: cioè da 2 a 3 giorni di vacanza.
3 mesi di vacanza nel periodo estivo: qui ci si riferisce al periodo che va dal 10 giugno al 10 settembre (più o meno), ma non si tiene conto degli esami di maturità, che si estendono dalla fine dell’anno scolastico fino a metà luglio circa, e le attività preparatorie (come le varie programmazioni didattiche) che solitamente vengono svolte prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Va detto, però, che il coinvolgimento degli insegnanti nelle commissioni d’esame dà diritto al pagamento di un compenso forfettario di 399,00 € (almeno per gli esami di maturità) per ogni classe coperta (si veda, a tal proposito, la sentenza n. 5153/2013 del Tribunale di Salerno, Sezione Lavoro). Questo significa che agli insegnanti assunti a tempo indeterminato e coinvolti negli esami di maturità viene riconosciuto un compenso extra per questo ulteriore impegno; compenso che si aggiunge a quello regolarmente percepito come mensilità. Quindi, sorge una domanda: considerato che il lavoro extra è compensato a parte in quanto ritenuto un’attività straordinaria, perché non si può dire che l’insegnante è in vacanza già dalla fine dell’anno scolastico (inclusa la settimana degli scrutini finali), quando cioè la sua attività ordinaria cessa, percependo, com’è giusto che sia, lo stipendio ordinario? Perché, qui, siamo in una prospettiva logica: o sei in un regime di attività ordinaria e, quindi, dovresti essere pagato una sola volta, o non lo sei e, quindi, sei in ferie dall’attività ordinaria, che si è conclusa con gli scrutini finali, appunto. L’accettazione di un pagamento aggiuntivo implica che quello che si sta svolgendo è un’attività non ordinaria e, dunque, non conteggiabile ai fini del normale monte ore che concorre alla determinazione del compenso mensile ordinario.
Per quanto riguarda le attività preparatorie, possiamo dire che queste hanno inizio ai primi di settembre e si estendono, quindi, per un periodo quantificabile in 15 giorni, sebbene non a tempo pieno, nel senso che l’insegnante non si reca tutti i giorni a scuola, come avviene nel normale periodo di attività didattica, bensì solo nei giorni di riunioni/incontri.
Quindi, anche in questo caso, il rilievo del nostro direttore è parzialmente errato perché non si tratta di 3 mesi di vacanze nel periodo estivo, ma di 2 mesi e 15 giorni, che, per gli insegnanti assunti a tempo indeterminato (dei quali si sta qui discutendo), sono regolarmente retribuiti (escludo l’impegno sugli esami di maturità per le ragioni esposte sopra).
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18 ore di lavoro a settimana
Questo è il nucleo centrale del discorso, che scatena, a ragione, le polemiche più accese.
La domanda è: sono davvero 18 ore a settimana? Ho provato a fare una ricerca, dal momento che le risposte a quest’affermazione non hanno fornito un dato preciso.
Secondo il Rapporto Eurydice citato, «in generale l’orario di servizio stabilito nella grande maggioranza dei paesi è pari a 35-40 ore settimanali ed è identico per tutti i livelli educativi» (pag. 18), il che sembrerebbe smentire quanto sostenuto dal nostro direttore. Quest’ultimo, però, parlava dell’Italia e non dell’intera UE. Per l’Italia, infatti, a pag. 76 del suddetto report (figura D5a) si legge che il numero di ore di insegnamento nelle scuole secondarie (inferiori e superiori) è, appunto, pari a 18 per l’attività didattica, mentre «le ore trascorse a scuola per altre attività sono solo parzialmente quantificabili, in quanto sono costituite da un numero minimo di ore annue per attività collegiali formali e un numero di ore non quantificabili per altre attività che il contratto definisce come funzionali all’insegnamento» (pag. 77).
Stando al comma 3 dell’articolo 42 del CCNL 1995, per la parte rimasta in vigore, sono quantificabili alcuni impegni di carattere collegiale:
- riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l’attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l’informazione alle famiglie sui risultati trimestrali o quadrimestrali e finali per un totale di 40 ore annue;
- partecipazione a consigli di classe o interclasse per un monte orario non superiore alle 40 ore annue;
- lo svolgimento di scrutini ed esami e la compilazione de relativi atti concernenti la valutazione.
Volendo considerare, poi, altre 10 ore per gli scrutini e la compilazione degli atti, abbiamo un totale di 90 ore annue (intendendo per “anno” i 9 mesi di attività didattica), cioè 2,5 ore a settimana, anche se va detto che non sono suddivise in modo così rigoroso.
Si arriva, così, a un totale di 20,5 ore settimanali, di cui 18 per attività didattica e 2,5 per le attività extra-didattiche di cui sopra.
Dunque, la stima effettuata nel post su Facebook di 18 ore di lavoro settimanali risulta parzialmente errata perché non considera queste 2,5 ore a settimana in più.
Stando sempre al Rapporto Eurydice di cui sopra, i colleghi tedeschi, a parità di ore per l’attività didattica, hanno un numero totale di ore di disponibilità a scuola pari a 23 a settimana (2,5 in più dell’Italia), e per i colleghi portoghesi questo monte ore varia tra un minimo di 22 e un massimo di 35 (da 2 a 15 ore più dell’Italia). Questo potrebbe essere a parziale giustificazione della differenza di compensi sussistente, anche se stando alla figura D9 del suddetto rapporto (pag. 85) risulta, per la scuola secondaria superiore, che:
- gli insegnanti tedeschi sono retribuiti circa 38 € lordi a ora;
- gli insegnanti italiani sono retribuiti circa 26,45 € lordi a ora;
- gli insegnanti portoghesi sono retribuiti circa 20,83 € lordi a ora.
Effettivamente, nel caso della Germania, si può parlare di un pagamento più elevato rispetto all’Italia, mentre, nel caso del Portogallo, il compenso orario risulta inferiore, perché gli insegnanti portoghesi sono tenuti a restare a scuola per un tempo maggiore.
Tutto questo a fronte di un rapporto alunni/insegnanti pari a 12,0 per l’Italia, 15,9 per la Germania e 7,5 per il Portogallo. In pratica, rispetto al rapporto alunni/insegnanti, l’Italia si colloca a metà tra la Germania e il Portogallo, ma tra i Paesi UE con il rapporto più basso. Questo senza voler entrare nel merito delle differenze sussistenti fra i tre Paesi circa la qualità dell’insegnamento e dell’offerta didattica, perché un discorso di questo tipo è molto difficile per l’Italia, come si vedrà tra poco.
Dal conteggio delle ore sono escluse due attività:
- preparazione delle lezioni;
- correzione degli elaborati.
Questo dipende dal fatto che tali attività non sono quantificabili in termini di numero di ore necessarie al loro espletamento. Ed è su questo punto che nasce la confusione più grande, in considerazione del fatto che alcuni insegnanti ritengono addirittura che per preparare il materiale necessario a un’ora di lezione impieghino fino a quattro ore di lavoro, a seconda della complessità della lezione. Il problema è che tale lavoro non risulta documentabile né dimostrabile in alcun modo, per due ragioni: una di carattere logistico, l’altra legata alla mancanza di un sistema di valutazione dei materiali didattici prodotti, che, nei fatti, costituiscono il prodotto finale di tale attività.
Il motivo di carattere logistico è quello che comporta l’impossibilità di una quantificazione anche solo prettamente oraria: gli insegnanti si avvalgono della possibilità di svolgere queste attività fuori dall’edificio scolastico, il che le rende, per ovvie ragioni, difficilmente quantificabili, perché non monitorabili nell’atto del loro espletamento. Basterebbe che gli insegnanti italiani svolgessero queste due attività a scuola, per rendere, dunque, facilmente monitorabile il processo di svolgimento delle stesse, anche in termini di quantificazione oraria, in vista di una retribuzione più equa. Allora, perché non si adotta questo accorgimento? La decisione spetterebbe al Collegio dei Docenti, su proposta del Dirigente scolastico, e al Consiglio d’Istituto, formati il primo dagli insegnanti e il secondo da rappresentanti di insegnanti, personale ATA, studenti e genitori. Dal momento che il Dirigente scolastico può avanzare proposte anche su segnalazione del corpo docente, l’unico problema verrebbe dai rappresentanti di personale ATA, studenti e genitori, che, però, non vedo per quali ragioni dovrebbero opporsi alla proposta di consentire ai docenti di effettuare un rientro pomeridiano a scuola, lasciando aperte anche quelle aule che non sono occupate da corsi di recupero, o altre attività didattiche pomeridiane. Del resto, se un’aula scolastica può ospitare 20-30 alunni che, in quell’aula dovrebbero apprendere, potrebbe senz’altro ospitare 10 docenti che lavorano per preparare le lezioni o correggere gli elaborati. Esistono, sicuramente, delle difficoltà logistiche, come la penuria di materiali e attrezzature, ma tali problemi sussistono anche per gli studenti, per i quali, invece, sono ritenuti superabili, nonostante siano al centro di un processo di apprendimento.
Restano, inoltre, irrisolte altre domande, su cui sarebbe opportuno rispondere, anche per pensare a una riforma del sistema scuola:
- esiste qualche altra professione, con tutele da lavoratore dipendente, che possa vantare 14 giorni di vacanze nel periodo natalizio, 2 o 3 giorni di vacanze nel periodo pasquale, 2 mesi e 15 giorni di vacanze nel periodo estivo, 3 giorni di permesso retribuito, 6 giorni di ferie annue, come da contratto collettivo nazionale, e l’obbligo di restare sul luogo del lavoro per sole 20,5 ore a settimana?
- perché gli insegnanti non propongono al Dirigente di svolgere attività di preparazione delle lezioni e correzione degli elaborati all’interno dell’edificio scolastico? Perché preferiscono svolgerle a casa, rendendole di fatto non quantificabili? Perché le difficoltà di cui sopra, nel caso dei docenti, risultano insormontabili, ma per i discenti sono superabili?
- c’è una relazione tra la difficoltà del Collegio dei Docenti e del Consiglio d’Istituto di decidere di consentire ai docenti, cioè a loro stessi, di preparare le lezioni e correggere gli elaborati all’interno dell’edificio scolastico e la spesa annua che le famiglie italiane sostengono per le ripetizioni private degli studenti, spesa che, nel 2011, ammontava a 420 milioni di euro?
So bene di andare incontro a un’obiezione, e cioè di non tener conto del fatto che il lavoro dell’insegnante è di alto profilo, in quanto ha il compito di educare e istruire, oltre a quello, forse più importante, di formare coscienze. Su questo piano, però, si pone un problema che è di valutazione e controllo sull’operato dell’insegnante: può un ruolo professionale così centrale e importante non essere sottoposto ad alcuna valutazione? Visto che appena poco più del 20% degli insegnanti crede che nella propria scuola gli insegnanti sarebbero licenziati a causa di scarse prestazioni prolungate (vedi report citato, pagina 56, figura B11), forse sarebbe giunto il momento di arrivare anche a un sistema adeguato di valutazione dell’insegnante in aula, attraverso, magari, l’intervento di pedagogisti esperti che possano valutarli non sulla base dei risultati dei discenti (il che sarebbe ingiustamente limitante verso l’insegnante), ma sulla base del comportamento in aula, dell’approccio didattico adottato, della rilevanza e pertinenza dei materiali didattici utilizzati, ecc., cioè prendendo in esame dei criteri di valutazione incentrati su aspetti che sono centrali per l’attività dell’insegnante. Volutamente non ho fatto riferimento alla sola responsabilità civile e penale, perché va salvaguardata anche la dignità di un ruolo professionale che non può essere ridotto a quello di un mero guardiano d’aula.
Mi si potrebbe obiettare che nessun altro dipendente pubblico è sottoposto a questo livello di valutazione. Potrebbe anche essere, sebbene dipenda dalle categorie, ma resta il fatto che un’obiezione di questo tipo aprirebbe a un ulteriore interrogativo, sgradevole anche solo a porsi: un insegnante che risponde in questi termini non ha fatto venir meno il suo ruolo di educatore e formatore di coscienze?
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