Gli animali e i neonati sanno contare? Intervista a Umberto Bottazzini
Sì sa, la matematica non sempre affascina, anzi spesso, complici le reminiscenze scolastiche, risulta particolarmente respingente in età adulta.
Eppure, oltre a imbatterci in questa disciplina con maggiore frequenza di quanto crediamo, sussistono ambiti d’indagine che potrebbero senz’altro riscontrare maggiore interesse presso il pubblico dei non addetti ai lavori. Ci riferiamo, ad esempio, agli studi relativi alle capacità matematiche di animali e neonati.
E proprio a partire da questi due aspetti che abbiamo iniziato la nostra chiacchierata con Umberto Bottazzini, professore ordinario di Matematiche complementari presso l’Università di Milano e autore di Numeri. Raccontare la matematica (Il Mulino), tra i cinque finalisti nell’edizione 2016 del Premio Galileo.
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La prima parte del libro presenta una serie di riferimenti a cavalli, ratti, pulcini. Gli animali sanno davvero contare?
Non direi che sanno contare, almeno nel senso in cui intendiamo comunemente contare. Tuttavia pulcini, ratti, scimmie e altre specie animali hanno una capacità naturale di stimare (piccole) numerosità, e riescono a sommarle e sottrarle; potremmo dire insomma che hanno un innato senso del numero, limitato a tre, forse quattro. Esperimenti con macachi resus, ad esempio, hanno confermato l’esistenza nel cervello di quegli animali di “neuroni del numero”, che rispondono alla numerosità spontaneamente e in modo specifico.
Molti studi, alcuni dei quali lei riprende anche nel suo saggio, dimostrano che i neonati avrebbero una capacità innata di contare. Semplificando, la matematica è una scienza innata?
I neonati della specie umana non sono da meno di pulcini e macachi. Anch’essi sono dotati di “neuroni del numero” e di un senso primitivo del numero che consente loro di “contare” fino a tre, e fare operazioni elementari di addizione e sottrazione. Tutto ciò è innato, ma non è ancora matematica. Tuttavia, a differenza di altre specie, la nostra è dotata di una prodigiosa capacità simbolica che ci consente di generare la successione dei numeri 1, 2, 3… mediante un procedimento ricorsivo (aggiungere un’unità). E con la successione (infinita) dei numeri si comincia a parlare di matematica.
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Nel booktrailer di lancio del libro, dopo aver citato Leibniz, lei chiude con una domanda: «E dunque i matematici sono di razza divina?». Al netto di quella che potrebbe apparire una possibile provocazione intellettuale, proviamo a fornire una risposta?
Certo, suona come una provocazione intellettuale. Ma in realtà la domanda fa implicito riferimento a un’affermazione di Richard Dedekind, un grande matematico di cui in questi giorni ricorre il centenario della morte. Dedekind parlava dei matematici come “una stirpe divina” proprio per la loro forza creativa, per la loro capacità di creare gli enti matematici, dai numeri alle strutture più complesse e astratte. In fondo, dietro quella domanda provocatoria se ne celano altre: i numeri e, in generale, gli enti della matematica vengono scoperti o sono chiamati in essere dai matematici? In altre parole, in matematica si scoprono teoremi e risultati o si inventano (si creano, avrebbe detto Dedekind)? E in proposito, le opinioni dei matematici sono tutt’altro che concordi.
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Possiamo dire di essere immersi in mezzo ai numeri, eppure la matematica non sempre esercita un potere attrattivo, anzi. A cosa è dovuta, secondo lei, tale ambivalenza?
Non c’è dubbio che la matematica pervada la nostra quotidianità. Ma molto spesso è una presenza discreta, tanto discreta da non esser neppure rilevata. Non se ne accorgono ad esempio i ragazzi (e forse anche gli adulti) che compulsano i loro cellulari e neppure sospettano che senza matematica non potrebbero inviare sms o telefonare. Forse neppure se ne rendono conto gli automobilisti che guidano affidandosi al navigatore, e così via in innumerevoli altre circostanze in cui si ricorre a risultati matematici piuttosto sofisticati. Ma la matematica cui pensano le persone è invece quella legata ai ricordi scolastici, che in generale (e a ragione) è scarsamente attrattiva.
Stando ai dati OCSE-PISA relativi alla preparazione degli studenti quindicenni italiani ««i risultati medi in matematica, lettura e scienze sono inferiori alla media» internazionale. Da docente universitario e da matematico, quali potrebbero essere le cause e le responsabilità?
È vero che i dati Ocse-Pisa sono deludenti. Ci può confortare scoprendo che, almeno per quanto riguarda la matematica, siamo in buona compagnia (ad esempio i ragazzi statunitensi hanno percentuali di analfabetismo matematico del tutto simili a quelle dei nostri) e, in generale, che nel decennio 2003-2012 nel nostro Paese è diminuita la percentuale di «studenti a basso profitto». È ancora assai preoccupante il numero degli abbandoni, cioè degli studenti che il sistema scolastico “perde” ogni anno, molti dei quali dovuti proprio alle difficoltà in matematica. Non sono mancate le critiche, anche giustificate, ai test Pisa. Ma non c’è dubbio, comunque, che quei dati chiamino in causa il nostro sistema scolastico nel suo complesso. Cause e responsabilità sono molteplici e diffuse, e vanno dalla formazione dei docenti ai programmi ministeriali, ai metodi di insegnamento della matematica.
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Solo il 4% dei docenti neoassunti possiede una laurea in matematica, questo significa che per coprire tutte le cattedre (di scuola secondaria inferiore e superiore) in tale disciplina si è fatto ricorso anche a docenti di altra formazione in ambito scientifico. Quanto incide questo sulla situazione che abbiamo appena descritto?
Incide in maniera determinante, com’è evidente. La stragrande maggioranza dei docenti di matematica è chiamata a insegnare una disciplina della quale ha solo qualche vaga idea superficiale. Come si può pensare che il loro insegnamento sia in grado, se non di appassionare, almeno di catturare l’attenzione e l’interesse dei ragazzi verso la matematica?
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Il punto di forza del Premio Galileo è senz'altro il tentativo di avvicinare la scienza ai giovani, dal momento che il vincitore sarà selezionato da studenti della scuola superiore di secondo grado. Quanto è importante abituare i più giovani a ragionare secondo un metodo scientifico?
Galileo ci ha insegnato che nella scienza, e tantomeno in matematica, non vale il principio di autorità. Penso che sia molto importante abituare i giovani a ragionare secondo il metodo scientifico, inaugurato da Galileo, e fondato su sensate esperienze e certe dimostrazioni matematiche. Metodo di cui il ragionamento rigoroso, proprio della dimostrazione matematica, costituisce un aspetto fondamentale.
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