Giovanni Pannacci e “Noi siamo qui”, una storia di integrazione e amicizia
Noi siamo qui è il nuovo romanzo di Giovanni Pannacci uscito nella collana Fernandel dell’omonima casa editrice che, dopo aver esordito nel 1994 con una rivista letteraria, dal 1997 ha iniziato a pubblicare libri con particolare attenzione ai temi giovanili. E infatti Noi siamo qui racconta la storia di quattro adolescenti che si scontrano con le problematiche grandi e piccole tipiche di quella fase delicata della vita in cui si cerca di trovare la propria strada. A rendere ancora più complesso questo passaggio, per la maggior parte dei protagonisti del libro, c’è il senso di inadeguatezza, il doversi fare spazio in un paese nuovo che mette in crisi le poche certezze che si erano costruite fin lì.
Gemma è una ragazzina schiva, non si è mai sentita a proprio agio nei gruppi numerosi e nei giochi di squadra, preferendo quelle attività che si possono svolgere con pochi compagni. Ma quando nella sua classe al liceo scientifico Italo Calvino arrivano dei nuovi studenti stranieri trova il gruppo giusto in cui inserirsi senza paura. Quando sono arrivati Matei dalla Romania, Raya dal Pakistan e Paula dal Brasile, Gemma ha provato un naturale moto di simpatia per questi ragazzi, all’inizio così spaesati, e in breve tempo sono diventati inseparabili. Lei, sempre timida e riservata, ha trovato delle amiche da cui imparare le qualità che le mancano: la scaltrezza e la schiettezza da Paula, fidanzata con il bell’ecuadoriano Javier; l’eleganza e la serietà dalla bellissima Raya. Mentre in Matei rappresenta un amico speciale a cui vorrebbe trovare il coraggio di confessare il suo amore. Un giorno, però, verso la fine dell’anno scolastico Raya scompare, non si presenta a scuola e quando scoprono che si è assentata dal lavoro in gelateria senza avvisare, gli amici capiscono che qualcosa non va. Ed è qui che si innesca il pretesto narrativo di questo romanzo che parla di adolescenza, amore, integrazione e soprattutto amicizia.
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Per ritrovare la loro amica i quattro si rivolgono a un professore molto speciale, il mediatore culturale dal passato misterioso che segue i ragazzi stranieri a scuola e che, a dispetto degli altri insegnanti, sa trattare i suoi studenti come persone, guadagnandosi così la loro fiducia e il loro rispetto. Ma Pietrone non è l’unico adulto a far parte della strana banda, a loro si aggiunge infatti la testimone diretta del rapimento di Raya: Mimosa Banti che non usciva di casa da anni finché non si è trovata nella necessità di improvvisarsi detective per aiutare quella cara ragazza e strapparla all’ingiusto destino che il padre vorrebbe per lei.
Noi siamo qui è una rivendicazione di presenza, una dichiarazione che tante volte sarebbe voluta uscire anche dalle nostre bocche di non-ancora-adulti-non-più-bambini mai presi davvero sul serio.
«Dovrebbe essere fuori con i suoi amici, le sue scarpe nuove e la maglietta con le stelline che le ha regalato la mamma. Invece è in camera sua a rigirarsi fra le mani una vecchia biglia di vetro, di quelle che usava al mare da bambina. Gemma conserva quasi tutti i giochi che aveva da piccola. Just in case. Come se il suo affacciarsi alla vita adulta potesse riservarle delle sorprese spiacevoli e fosse necessario prevedere un possibile ritorno alla fanciullezza. In quel caso i suoi giochi sarebbero tutti lì, ad accoglierla e consolarla. Ma Gemma sa che non ci sarà mai più la gioia pura e assoluta di quando faceva passare la febbre al suo Cicciobello posandogli un cleenex bagnato sulla fronte di plastica, o di quando lei e la sua Barbie vivevano in un ranch e curavano animali feriti.»
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Giovanni Pannacci ha messo su carta una storia piena di tenerezza, dove l’amore ha ancora un senso e l’amicizia può ogni cosa ma non per questo ha tralasciato di affrontare, con la naturalezza propria dell’età di cui racconta, tematiche gravose come il diritto alla cittadinanza, i problemi dell’insegnamento, l’integrazione, il bullismo e il senso di frustrazione di chi si ritrova a dover imparare tutto da capo: «Ma si vede che per i professori tutti gli sforzi che ho fatto non contano niente. A che serve, allora? In Romania ero il più bravo della mia classe, qui mi sento un ritardato».
Per la prima foto, copyright: Yogendra Singh su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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