Giornalismo culturale – Intervista a Luigi Mascheroni
Il giornalismo culturale vive e lotta con noi, anzi no è in crisi. O sta forse rinascendo sotto nuove forme? Da anni si discute di questo, e puntualmente risulta difficile arrivare a una posizione precisa e univoca. È per questo che Sul Romanzo ha pensato di aprire una rubrica dedicata al giornalismo culturale, uno spazio di confronto diretto con addetti ai lavori, per capire quali sono le caratteristiche del giornalismo culturale e quali svolte dovrà intraprendere per superare la crisi e adattarsi all'era del digitale.
Particolare attenzione sarà dedicata al giornalismo culturale che si occupa di libri e ai suoi rapporti con l’editoria, per capire se davvero, come si sostiene, la sua incidenza nella promozione della lettura e nella vendita di libri risulta quasi assente.
Di tutto ciò abbiamo parlato con Luigi Mascheroni, caposervizio cultura e spettacolo de «Il Giornale» e docente di Teoria e tecniche dell'informazione culturale all'Università cattolica del Sacro Cuore, in quest'intervista dove vengono toccati alcuni nodi centrali.
Una domanda a bruciapelo: qual è lo stato del giornalismo culturale in Italia, oggi? E quali sono stati i cambiamenti più rilevanti degli ultimi anni?
Il giornalismo culturale – come del resto il giornalismo in generale – è in forte crisi per quanto riguarda i numeri: quello sulla carta stampata è pochissimo o per nulla letto, come dimostrano le vendite bassissime dei quotidiani e il poco spazio che i direttori e gli editori danno alla Cultura; quello sul web è letto e discusso da un pubblico molto ridotto numericamente, per lo più di addetti ai lavori: giornalisti, editor ed editori, scrittori, blogger, professori universitari e qualche “lettore forte”…; in televisione un vero e proprio giornalismo culturale non esiste: è presente una più o meno buona informazione culturale ma mancano, almeno sulle reti generaliste, veri programmi di giornalismo culturale.
Tuttavia, per quanto molto elitario e quindi rivolto a un pubblico marginale, dal punto di vista qualitativo, il giornalismo culturale in Italia, soprattutto quello della carta stampata – ma penso anche ad alcuni siti, tipo minima&moralia, o ilLibraio.it o Doppiozero – resta fatto molto bene. Ritengo che le pagine culturali dei nostri giornali siano mediamente più belle, anzi direi molto più belle, varie e interessanti di quelle dei quotidiani europei e americani, dove in realtà il giornalismo culturale è spesso più di costume e società (certo, con alcune prestigiose eccezioni).
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Se penso alle pagine della sezione culturale di «Repubblica» o agli inserti di libri e cultura del «Sole24ore», del «Corriere della Sera», della «Stampa» o, perché ci lavoro e perché ne sono convinto, le pagine culturali de «Il Giornale»... beh, è indubbio che siamo di fronte a un giornalismo molto alto, letterario, colto, raffinato anche polemico e irriverente a volte… Quale altro Paese nel mondo, giusto a parte la Germania, può dedicare così tante pagine, per mesi, su tutti i quotidiani, di destra, di sinistra o “terzisti”, alla polemica – cito un caso esemplare – sui Quaderni neri di Heiddegger e il suo più o meno “metafisico” antisemitismo? Certo, sono cose quantitativamente “per pochi”, ma qualitativamente eccellenti.
Insomma, sembra un paradosso: ma il nostro giornalismo culturale sta per morire, perché non lo legge nessuno, ma muore in ottima salute.
Come dovrà cambiare il giornalismo culturale per adeguarsi ai tempi?
Pur tenendo un proprio approccio alto nel raccontare la realtà letteraria, artistica e scientifica, giocando un po’ più con la cultura mainstream e i fenomeni “pop”, dovrebbe provare a impattare su un pubblico più vasto. Deve cercare un nuovo linguaggio, fatti salvi i contenuti ambiziosi, per parlare ai ragazzi, ai non specialisti, al lettore “debole”. Come farlo? Partendo dalla tv.
Visto che anche nell'era del digitale e della rete, il 90% degli italiani continua a informarsi principalmente tramite la televisione, il giornalismo culturale dovrebbe provare a entrare in televisione: pillole dedicate ai libri in coda a ogni telegiornale, trasmissioni pensate con target diversi ma che ruotano attorno ai film, alle mostre, alle novità editoriali, programmi di approfondimento anche in fasce orarie che non siano quelle notturne… Per parlare a più persone, e poi ritornare in rete e sulle pagine dei quotidiani più “forte”, il giornalismo culturale deve sfondare in tv.
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Viene da chiedersi però se a eventuali programmi di serio approfondimento culturale in televisione il pubblico poi non riservi lo stesso trattamento delle pagine culturali della carta stampata.
Secondo me, programmi del genere non vengono prodotti perché si pensa che il pubblico sarebbe poco ricettivo. Perché si pensa che non funzionino. Se migliaia e migliaia di persone vanno ai festival letterari, perché non dovrebbero vedere un programma in cui si raccontino libri belli, e non solo i libri che vendono, che sono due cose diverse?
Io penso che un programma di approfondimento e di informazione culturale, scritto e sceneggiato bene, anche in una tv generalista possa funzionare. Dovrebbe essere fatto in maniera diffusa, con spazi dedicati alle mostre, al cinema, ai libri... e che non siano soltanto i trailer dei film di cassetta che stanno per uscire, la trasmissione Porta a Porta sui cinepanettoni o l'intervista al giornalista famoso che promuove il suo libro in televisione: non c’è niente di peggio della marchetta a Che tempo che fa? o a Pane quotidiano o dalla Bignardi, dove peraltro vanno ospiti sempre gli stessi. No, devono essere programmi pensati da gente che è abituata a fare cultura in rete e sui giornali e che provi a portarla al grande pubblico della televisione.
Quando la persona giusta racconta un’opera d’arte, o un film che ha veramente qualcosa da dire sul nostro tempo, o un libro che mette in difficoltà il lettore, lo sfida… beh, può affascinare parecchia gente davanti alla tv…
Circoscrivendo il campo all’ambito editoriale, spesso i giornalisti che se ne occupano sono accusati di essere ininfluenti rispetto alle vendite e di operare in troppa sinergia con gli editori. Sono davvero questi i problemi?
Sono anche questi i problemi, ma non sono i più importanti. Oggi non esiste un giornalista che possa far aumentare le vendite dei libri, non lo fanno neanche i premi letterari. Giusto lo Strega e un po' il Campiello. Ritornando alla televisione c'è Fabio Fazio, una volta era Costanzo.
Comunque i “vizi”, che ci sono, sono altri. Ad esempio i giornalisti culturali sono molto snob. Tendono – tendiamo, mi ci metto anch’io – a parlare sempre al nostro mondo, a rivolgersi allo scrittore che ha scritto il libro che stiamo recensendo più che al lettore che potrebbe leggerlo. Il giornalista culturale è abituato a parlare con gli addetti ai lavori: colleghi, editor, direttori editoriali... usando un linguaggio che allontana sempre più il lettore generico e generalista.
Ce ne stiamo seduti sui divani di questo nostro salotto letterario immaginario a parlare fra di noi, sprofondati nel nostro autocompiacimento, e non vorremmo mai vedere il lettore sedersi accanto a noi, forse ci dà fastidio… Il lettore serve solo a dirgli, dall’alto delle nostre competenze, quale mostra andare a vedere, quale libro leggere...
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Insomma, quando un lettore che è un non addetto ai lavori sfoglia le pagine culturali dei quotidiani inconsciamente percepisce questa distanza, si sente tagliato fuori, a disagio – come uno che entra raramente in libreria e si sentisse gli occhi addosso di un librario altezzoso – e per questi motivi tende a saltarle.
Già da qualche anno, lei tiene un blog di video-recensioni. Il futuro della comunicazione culturale sarà nei video?
Il futuro dell'informazione e della comunicazione culturale è ovunque.
Può essere ancora sulla carta, anche se numericamente più marginale, di élite, però rimarrà. Sarà in televisione se verranno fatte delle buone scelte a livello di trasmissioni, di format, di persone. È sulla Rete, dove si possono fare delle splendide cose culturali. E in radio, dove già oggi si fanno trasmissioni di intrattenimento culturale molto belle.
Il futuro è ovunque qualcuno voglia, possa e riesca a raccontare, con competenza e con passione, un libro, una mostra, un film. Non è un problema di supporto ma di professionalità.
Per quanto riguarda le mie video-recensioni… Visto che la carta stampata è sempre più in crisi e il mio pubblico si riduce di anno in anno, tempo fa ho iniziato a fare qualcosa di nuovo. Con un amico regista, Fulvio Pisani, ho provato a parlare di libri in brevi video, ambientando la “recensione”, che poi è un racconto, in una location che abbia attinenza al contenuto del testo per cercare di far arrivare una novità editoriale che io reputo interessante – un romanzo, un saggio, una raccolta di racconti – a un pubblico il più vasto possibile, pensando non ai lettori forti, ma a chi magari non legge tantissimo, però può essere incuriosito da un video in cui in tre minuti gli racconto di un saggio sul rapporto tra arte e erotismo dentro un sexy shop, o della nuova ristampa di un libro di Manara al museo del Fumetto di Milano, o un pamphlet sui graffiti davanti ai murales del Leoncavallo e così via… Un’illusione? Forse sì. Però mi diverto a farlo, per ora.
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