Giornalismo culturale – Intervista a Francesco Musolino
Giunge alla quinta tappa il nostro viaggio nel mondo del giornalismo culturale, e dopo Luigi Mascheroni, Giorgio Biferali, Luca Ricci e Annarita Briganti abbiamo posto qualche domanda a Francesco Musolino.
Giornalista culturale presso «Il Fatto quotidiano» e la «Gazzetta del Sud» e ideatore del progetto di lettura no-profit @Stoleggendo, con Francesco Musolino abbiamo discusso del ruolo del web nel giornalismo culturale e del rapporto tra quest’ultimo e i social network, definendo anche i confini di quest’ultimi.
Quali sono gli attuali confini del giornalismo culturale? È davvero in atto una crisi dai contorni incerti oppure è solo una trasformazione che una parte del settore non riesce ancora a governare?
Bella domanda. Francamente temo che sia in crisi l’intero comparto del giornalismo. Soprattutto in Italia il lavoro intellettuale è sottostimato e la precarietà insita nella nostra società ha reso critico un settore giù instabile. Eppure le scuole di giornalismo si moltiplicano e le persone continuano ad aspirare alla carriera giornalistica. Siamo tutti pazzi? Non credo. Il giornalismo in senso assoluto è un mestiere bellissimo che offre la possibilità di incontrare e intervistare – nel mio caso – gli autori più amati, i protagonisti più celebri e controversi del mondo editoriale. La crisi del giornalismo culturale rispecchia la crisi di un sistema economico che sta condannando al precariato almeno due generazioni. Bisogna aprire gli occhi, tenere duro ed esigere che si punti sulle persone anziché sui grandi numeri delle politiche europee.
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I canali sui quali, oggi, si concretizza l’informazione sono carta stampata, televisione e web. Rispetto al giornalismo culturale, in quali di questi canali riscontra maggiori opportunità di crescita?
Senza dubbio il web è il settore che oggi offre maggiore margine di crescita rispetto alla carta e alla tv penalizzate da costi più alti e regimi normativi molto statici. Il web offre dinamismo e soprattutto garantisce spazi praticamente infiniti per coprire e approfondire qualsivoglia argomento. Tuttavia uno spazio in pagina su un giornale nazionale, un passaggio su una televisione nel giusto format quanta visibilità garantiscono a un libro, a un autore? Ciò significa che il web rappresenta una grande opportunità già adesso ma è necessario rifiutare i sensazionalismi per compiere quel salto di qualità che il giornalismo culturale sul web ha compiuto solo parzialmente. La strada è lunga ma ciò significa soltanto che bisogna lavorare e impegnarsi per fare meglio.
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Spostando l’attenzione sul giornalismo prettamente editoriale, spesso gli operatori del settore sono accusati, salvo rare eccezioni, di avere scarsa incidenza sulle vendite di un libro. Ma è davvero questa la sua funzione, oppure una tale affermazione rappresenta una distorsione degli obiettivi?
Nessuno sa cosa faccia davvero vendere un libro. Non esiste una formula magica come la ricetta della Coca-Cola cui appellarsi. E questa incertezza non è necessariamente malvagia perché in tal modo l’editoria è spinta a fare scouting e a cercare nuove voci. Le recensioni di libri sui giornali non fanno vendere libri? Non ne sono affatto convinto ma in ogni caso non credo sia questo l’obiettivo. Una recensione deve parlare con onestà di un titolo, un’intervista deve mettere in luce l’autore, poi tocca ai lettori scegliere, come sempre. Tuttavia conosco molte persone che si fidano di alcune firme – ad esempio Paolo Di Paolo, Anna Mallamo, Chiara Valerio, Silvia D’Onghia, Marco Missiroli, Stefano Caselli, Piero Melati e Teresa Ciabatti – e spesso acquistano i libri di cui scrivono a occhi chiusi. Questo accade perché si è creato nel tempo un legame fiduciario con il lettore. Il giornalismo culturale deve puntare sulla qualità. Il resto è imponderabile.
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Lei ha ideato il progetto di lettura no profit @StoLeggendo per invitare alla lettura tramite Twitter e con l’intervento di #readerguest (scrittori, giornalisti, editor e librai) che, di volta in volta, parlano dei libri che amano e interagiscono con i vari follower. Quanto possono incidere concretamente i social network nel processo di promozione della lettura?
Moltissimo. Ma credo sia necessario fare chiarezza. I social sono un mezzo, non sono né buoni né cattivi a priori. Tocca a noi usarli nel modo giusto. La promozione della lettura sui social funziona con la logica del passaparola, passando dalla condivisione di una foto artistica che colpisce e fa prendere in mano un libro anziché un altro nella miriade di nuove uscite, sino al consiglio di un amico o di un giornalista stimato, postato con un singolo tweet. L’idea alla base del progetto lettura noprofit @Stoleggendo fa perno proprio sul concetto di gratuità, sulla necessità di recuperare il piacere della lettura, la condivisione di una passione.
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I #readerguest sono una rete di persone che partecipano e collaborano nel proprio tempo libero, dialogando con i followers, ciascuno con il proprio stile, in totale libertà. La promozione della lettura sui social si può fare in tanti modi ma a mio avviso l’unico vincente è quello che premia la qualità e la passione, senza tener conto di logiche commerciali. Leggere è l’atto solitario per eccellenza ma i social dimostrano che anche per i lettori la rete è una grande risorsa che permette di abbattere tutte le distanze.
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In che modo i social network possono essere di supporto al giornalismo culturale?
Questa è la domanda del secolo. È necessario aprirsi alla rete e superare tutte le criticità di una concezione ormai vetusta del mestiere del giornalista che snobbava il web. D’altra parte la debolezza della rete è spesso una sorta di mancanza di controllo dei contenuti, quel fastidioso effetto copia-incolla che non aggiunge nessun valore agli utenti. Un elemento che diventerà sempre più importante, a mio avviso, sono le dirette streaming che già oggi ci permettono di seguire eventi culturali – e non – a ogni latitudine, permettendoci di seguire un festival o una presentazione di un libro pure dal divano di casa. Anche se talvolta spegnere lo smartphone e uscire a farsi una passeggiata può essere la soluzione migliore per chiarirsi le idee.
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