George Saunders, Paul Murray e Irvine Welsh: una lezione di scrittura creativa
George Saunders, Paul Murray e Irvine Welsh ci regalano una lezione di scrittura creativa d’autore. A intervistarli per l’«Irish Times» è Sinead Gleeson, il quale conduce il discorso intorno alla costruzione di un dialogo e alle funzioni che quest’ultimo può ricoprire in narrativa. I tre autori danno una visione personale dell’argomento, basandosi sulle loro opere e sui loro principi stilistici.
Conversazioni di narrativa: «un buon dialogo non è necessariamente un dialogo accurato»
Siete riusciti a creare un complesso ventaglio tridimensionale di personaggi e un protagonista sfaccettato. Ben fatto. Ma ora, come si può farli sembrare autentici?
Molto dipende dal loro modo di parlare: dalle conversazioni con gli altri personaggi così come dalle loro voci interiori. Paul Murray, l’autore di Skippy muore e diThe mark and the void, romanzo prossimo alla pubblicazione, utilizza molti dialoghi nei suoi lavori, semplicemente perché gli piace scriverli.
«Il modo in cui le persone parlano – anche se stanno dicendo veramente poco – ci dice così tante cose di loro. Se si sta scrivendo qualcosa con una trama molto complessa e propulsiva, i dialoghi sono meno importanti, ma se mi trovo a scrivere di situazioni in cui i personaggi non svolgono un ruolo di potere, agiscono raramente e di solito in maniera inetta, allora il dialogo è il loro unico mezzo per manifestarsi nel loro mondo e nel libro».
La funzione
Sono poche le storie in cui si evitano completamente i dialoghi, e uno scrittore deve decidere quale sia la loro funzione nella narrazione: vengono usati semplicemente per l’esposizione della storia, per rivelare più informazioni circa un personaggio, o sono un semplice meccanismo per portare avanti la narrazione?
Irvine Welsh è famoso per i suoi personaggi loquaci e dall’accento pesante, presenti da Trainspotting a Il lercio fino al suo ultimo libro, La vita sessuale delle gemelle siamesi.
«Un dialogo avrà sempre queste tre funzioni, però è possibile anche occuparsi dell’esposizione e portare avanti la storia più efficacemente usando una narrazione in terza persona», afferma. «Per me un dialogo è principalmente, ma non solo, un modo per rivelare più informazioni di un personaggio». Articolare i pensieri di un personaggio è un’utile scorciatoia per rivelare la sua vita interiore o il suo vissuto precedente, tuttavia farne un uso eccessivo può essere fatale.
Lo scrittore americano George Saunders, autore di Pastoralia e della pluripremiata raccolta di racconti Dieci dicembre, ci dà una lezione su uno dei problemi più comuni nei dialoghi. «La trappola più grande consiste nel dare per scontato che i dialoghi in narrativa debbano imitare i dialoghi della vita reale. Per questo ci sono un sacco di espressioni rese in maniera fedele che dovrebbero invece essere messe da parte.Così come l’ “esposizione nei dialoghi”, in cui l’autore fa dare ai personaggi delle informazioni che non verrebbero mai date nella vita reale».
Saunders fornisce il seguente esempio:
«Ciao, Tom», disse Becky. «Sei ancora quell’uomo di mezza età che ha trascorso alcuni anni di formazione in Pakistan, e che si sente sempre più frustrato per via di Sally,tua moglie?»
«Sì», disse Tom.
«Cavolo, che brutta cosa», disse Becky.
«E tu invece?», disse Tom. «Hai ancora gli incubi di quella terribile notte in cui la tua casa, quella villa in tardo stile Tudor vicino al lago, quel lago in cui si vuole far credere che ci sia un mostro marino, si ridusse in cenere?»
«Credo proprio di sì», disse Becky.
I lettori possono voler sapere ogni cosa dei personaggi di una storia, ma gli scrittori non devono schierarli per esibirsi come inarrestabili ventriloqui. È di fondamentale importanza comunicare quello che i personaggi vogliono esprimere pur rimanendo fedeli al loro modo di esprimere se stessi. Un semplice esperimento sarebbe chiedersi: l’avrebbero detto davvero?
«Gli scrittori dovrebbero puntare sui loro punti di forza», afferma Paul Murray, «e se il dialogo è qualcosa in cui non si sentono particolarmente a proprio agio, non dovrebbero sentirsi obbligati a inserire un discorso diretto giusto per farlo. Si può dire che un brutto dialogo stride più di un brutto passaggio in altri punti della narrazione, quindi se si ha un incurabile pessimo orecchio per i dialoghi, è forse meglio concentrarsi su quegli elementi in cui si è più dotati e che piacciono di più».
Saunders è d’accordo sul fatto che uno scrittore dovrebbe focalizzarsi su ciò che gli riesce meglio. «Se una persona sa scrivere delle descrizioni fisiche di grande impatto (si pensi a Dickens), allora deve creare più occasioni possibile per farlo. Quindi, se il dono di Superman è quello di saper volare, lui darà del suo meglio nelle situazioni in cui solo volare può risolvere il problema, e dovrebbe organizzarsi di conseguenza. Lo stesso vale per i dialoghi: se uno scrittore sa scrivere, linea dopo linea, un dialogo di grande impatto che ha l’effetto di far andare avanti il lettore, allora perché no? Al contrario, se uno scrittore fa schifo nei dialoghi, allora non dovrebbe essere tentato a “mettercene un po’”. Bisogna semplicemente evitarlo, e la struttura che ne verrà fuori (i modi che questo scrittore ha trovato per concedersi il lusso di non usare dialoghi) sarà in qualche modo più vera e più convincente».
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Il dialogo è qualcosa a cui lo scrittore fa appello rispetto a quanto della storia deve essere comunicato tramite le interazioni fra i personaggi. «Non è solo una questione di estetica», dice Welsh, «è anche una questione che riguarda il tipo di storia che si sta scrivendo. Se si scrive una storia guidata solo dalla trama, non si avrà bisogno di un sacco di dialoghi. Se è più incentrata sui personaggi, allora si avrà bisogno di usarli in maniera più massiccia».
Valore comico
Per molti scrittori – incluso Paul Murray – le interazioni fra i personaggi sono spesso il luogo da cui deriva gran parte della comicità di un libro. «I dialoghi danno l’occasione di sviluppare un tipo di comicità che non sarebbe possibile altrimenti e, più generalmente, danno vita a una scena».
Per rendere vivido un personaggio, Kevin Barry ha spesso parlato dell’importanza della lettura ad alta voce delle parole del personaggio stesso (inclusi accento e tic verbali). Welsh è d’accordo nel ritenere che questo sia «l’unico modo».
Un buon dialogo non significa necessariamente un dialogo accurato. Saunders dà la priorità al bisogno di una voce fittizia che sia convincente, prima che autentica: «Deve essere una versione compressa e più stilizzata di un discorso reale. L’obbiettivo è che sia suadente, e che possibilmente alluda a, o evochi un certo tipo di persona o una tendenza umana nel processo. Ma è lì soprattutto per servire la storia».
Murray ci offre alcuni consigli semplici e importanti. «Ovviamente, il modo migliore per sviluppare un dialogo è semplicemente quello di ascoltare. Se si resiste alla tentazione di mettersi gli auricolari, e si tengono le orecchie bene aperte, ovunque si possa essere, si scoprirà molto presto che si archivierà un ammasso di voci molto più grande di quello che ci si potrebbe aspettare».
Consigli utili per la scrittura di un dialogo
- I dialoghi possono essere una grande risorsa di umorismo.
- I personaggi possono articolare i loro pensieri o portare avanti la storia, ma l’uso eccessivo è a vostro rischio e pericolo.
- Leggere i dialoghi ad alta voce, tic verbali e tutto.
- Ascoltare: sempre e chiunque. Mettere via gli auricolari e stare attenti.
Questo, in sintesi, quanto George Saunders, Paul Murray e Irvine Welsh suggeriscono nella loro informale lezione di scrittura creativa.
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