George Eliot sulla felicità
Un’amabile confutazione di una diffusa teoria sulla felicità, quella data da George Eliot. Si tratta di un estratto di una lettera datata maggio 1844 destinata a Miss Sara Hennett, “compagna di traduzione” della famosa autrice di Middlemarch, all’epoca appena venticinquenne. La lettera, infatti, si apre con un riferimento al progetto di traduzione de La vita di Gesù di David Strauss che la scrittrice aveva da poco intrapreso. Un dettaglio importante, in quanto fa comprendere il vivo interesse della Eliot per le questioni morali care ai circoli intellettuali a cui era stata da poco iniziata. Valori che si fondano su una educazione rigida, di cui si sentono gli echi persino in questa lettera, quando la scrittrice parla della felicità e dell’infanzia.
***
[…] Bisogna impiegare così tanti anni per imparare come essere felici. Appena ora sto iniziando a fare qualche progresso in questa Scienza, e spero di poter confutare la teoria di Young per la quale «scoperta la chiave della vita, si aprono le porte della morte». Ogni anno trascorso ci alleggerisce da una speranza vana, e ci insegna a considerarne al suo posto una giusta e solida. Non crederò mai che i giorni della nostra prima giovinezza siano i più felici. Che auspicio miserabile per il progresso della specie e il destino ultimo dell’individuo se lo stato più maturo e illuminato dell’essere umano sia il meno felice!
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La prima giovinezza è bella e felice solo se contemplata in retrospettiva: per il bambino è piena di profondo dolore di cui non si conosce il significato. Coliche, pertosse e timore reverenziale per i fantasmi, per non parlare dell’Inferno e del Diavolo, e una Divinità oltraggiata lassù in cielo, la quale si arrabbiava quando volevo ancora una fetta di dolce. E, peggio di tutto, il dolore delle persone adulte, che il bambino nota ma non può comprendere. Tutto ciò per dimostrare che siamo più felici di quando avevamo sette anni, e che saremo più felici a quarant’anni rispetto a ora. La ritengo una dottrina rassicurante e in cui valga la pena credere! […]
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Oltre a sottintendere molto riguardo all’infanzia della scrittrice stessa, e alla presenza costante di una educazione conservatrice tipica della Gran Bretagna dell’epoca, questo brano lascia intravedere la grande perspicacia di quella che sarà la grande scrittrice dell’epoca vittoriana. Con grande lucidità di pensiero e un’ironia sottile, George Eliot lancia un ottimo spunto di riflessione sul vero valore della felicità, troppo spesso confusa con la spensieratezza giovanile.
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