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Franca Valeri, addio alla signorina snob della commedia all’italiana

Franca Valeri, addio alla signorina snob della commedia all’italianaQualunque definizione di Franca Valeri, spentasi oggi, dopo aver compiuto da poco 100 anni, sarebbe riduttiva di una personalità ricca, brillante, poliedrica, capace di toccare, contemporaneamente, più corde di quell’arpa magica che è l’arte.

Classe 1920, attrice, soubrette, cantante, regista, sceneggiatrice, Franca Maria Norsa ha attraversato gli ultimi sessant’anni in diagonale, come il suo celebre sorriso sghembo, dalla radio al teatro, al cinema, alla musica, alla letteratura anche in virtù dell’amicizia con Silvana Mauri Ottieri. Proprio quest’ultima, peraltro, le suggerì il nome d’arte “Valeri”, omaggio al poeta del “travail de l’esprit”, Paul Valery.

Antidiva per elezione, il suo “personaggio” è sempre stato un po’ sopra le righe, costitutivo di una raffinata dualità tra ironia e distacco, ritratto caustico ma nient’affatto polemico di una parte della borghesia italiana del secondo dopoguerra, conformista, nevrotica, fatua. Che è poi il vero topos della commedia all’italiana. La realtà è in trasformazione, il boom economico accredita l’idea delle magnifiche sorti progressive del nostro paese, ed ecco che il grande e il piccolo schermo proiettano con grazia i sintomi di tale trasformazione coagulandoli in trame e orditi più o meno credibili. Dall’introiezione di questi “dati sensibili” nascono i personaggi che hanno reso celebre Franca Valeri al vasto pubblico, indimenticabile nei panni della «Signorina snob» o della «Signora Cecioni» sempre al telefono con mammà, ritratti di donne piccolo borghesi afflitte da tic e vezzi sorprendentemente vividi, nei quali ci si riconosce con candore e allegria: l’analisi del vacuo perbenismo di certa parte della società italiana è fine, e possiede quella dose di elegante capacità espressiva che non può che strappare un applauso.

A teatro esordisce nel 1949 insieme alla compagnia dei Gobbi con i Carnet des notes, metafora della recitazione nuda e cruda, senza filtri e maschere, senza scene e senza costumi: l’attore è solo con se stesso e il pubblico. Ecco che l’interpretazione è affidata alla mimica, all’impostazione della voce, ai gesti. Un’esperienza fondamentale, che marcherà la recitazione della Valeri anche quando approderà al varietà televisivo del sabato sera, un cult tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 (ricordiamo tra tutti Studio Uno): tra lustrini e paillette, vibra la sua abilità di caratterista, il tono di voce graffiata, lo sguardo sornione, una sorta di stregatto nel paese delle meraviglie.

Il cinema la vede ripresa da grandi registi: Fellini, Lattuada, Vittorio Caprioli (suo marito dal 1960 al 1974), ma a esaltarne le doti artistiche saranno maggiormente i compagni di set, da Totò a Alberto Sordi, che onorano, più che esasperare, la naturale attitudine al ruolo di bruttina stagionata, sostenuta, disillusa, ma sempre brillante, icona della donna consapevole e autoironica: Totò a colori (1952), Il segno di Venere (1955), Il bigamo (1956), Il vedovo (1959). Parigi o cara (1962) la consacra: in questa pellicola diretta da Vittorio Caprioli, Franca Valeri interpreta Delia, una prostituta romana tutt’altro che prosaica, con modi snob, addirittura perbenisti, perché «una signora è tale anche se batte il marciapiedi», il piglio da zitella e aspirazioni al benessere borghese. 

Franca Valeri, addio alla signorina snob della commedia all’italiana

Il teatro è, tuttavia, il suo elemento naturale e a esso ritorna dopo brevi passaggi televisivi tra gli anni ’80 e ’90. Nel 2011 scrive e recita in Non tutto è risolto, dal quale Einaudi ha tratto l’omonimo libro, una «commedia allo stesso tempo comica e metafisica»; nel 2014 è la volta di Cambio di cavalli, «rappresentazione realistica e amara della società contemporanea».

Altra passione è quella per la musica lirica che l’ha vista impegnata come regista di melodrammi, tanto da farle affermare senza imbarazzo sul palco dell’Ariston, in occasione dell’edizione 2014 di un Sanremo condotto da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto: «Io una canzone del cuore non ce l'ho perché per me la musica è l'opera». Questo, insieme ad alcune dichiarazioni rilasciate a un quotidiano a inizio 2016 a proposito del poco spazio concessogli dal mondo dello spettacolo a causa dell’età («Trovo una grande ingiustizia farmi rimanere a casa quando ho ancora tutte le qualità per continuare a lavorare») non possono, proprio oggi, nel momento del congedo, non riportare alla memoria i versi di una celebre aria pucciniana, tratta da la Tosca (melodramma tra i più amati dalla stessa attrice), quel “Lucevan le stelle” in cui un altro artista (il pittore Mario Cavaradossi), alla vigilia della propria esecuzione cantava: «l'ora è fuggita/e muoio disperato/E non ho amato mai tanto la vita!».

Ecco, l’ora è ormai fuggita anche per lei, la ex signorina snob, ma ancora e per sempre signora della comicità italiana, un talento inimitabile per l’arte e un amore sconfinato per la vita.

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