Fondazioni culturali italiane: luci e ombre
Il dibattito sulle Fondazioni culturali italiane è sempre molto acceso e, nonostante i riflettori siano continuamente puntati col loro fascio di luce accecante, tante sono le zone d’ombra ancora da chiarire a cominciare dalla definizione stessa dell’espressione “fondazione culturale”.
Marco Demarie, della Fondazione Giovanni Agnelli, durante il Convegno Il problema delle Fondazioni, tenutosi all’Accademia dei Lincei nell’Aprile del 2004, sosteneva che «la dizione ‘fondazione culturale’ non porge dunque di per sé alcunché di chiaro e distinto, anche se, sul piano fenomenologico, il soggetto è ben dotato di esistenza e di realtà. Prendendo a prestito un detto comune in altre lingue: ‘non so definirlo, ma se lo incontro lo riconosco’. Il punto è che in questa riconoscibilità intuitiva finiscono per cadere entità alquanto diversificate. Ancor di più la questione si complica se viene accettato il postulato: che ogni fondazione, o almeno ogni fondazione di pubblica utilità, sia una fondazione culturale, ancorché sui generis».
L’Articolo 2 della Legge 17 Ottobre 1996 numero 534 sancisce i requisiti richiesti alle Istituzioni culturali. Queste devono:
- Essere istituite con legge dello Stato oppure essere in possesso di personalità giuridica.
- Non avere finalità di lucro.
- Promuovere e svolgere in modo continuativo attività di ricerca e di elaborazione culturale.
- Disporre di un rilevante patrimonio bibliografico, archivistico, museale, cinematografico, musicale, audiovisivo, qualunque sia il supporto utilizzato, pubblicamente fruibile in maniera continuativa.
- Svolgere e fornire servizi, di accertato e rilevante valore culturale.
- Sviluppare attività di catalogazione.
- Organizzare convegni, mostre e altre manifestazioni di valore scientifico e culturale.
- Svolgere l’attività sulla base di un programma almeno triennale.
- Svolgere attività editoriale.
- Documentare l’attività svolta.
- Disporre di una sede adeguata.
Per poter essere inserita nell’apposita tabella emanata e usufruire quindi del contributo ordinario annuale dello Stato, un’istituzione culturale e quindi anche una fondazione culturale deve possedere tutti i requisiti sopra elencati e aver svolto attività continuativa da almeno cinque anni.
Nell’Ottobre del 2007 l’ISTAT ha resi pubblici i dati relativi alla prima rilevazione sulle fondazioni attive in Italia al 31 Dicembre 2005. È stato così possibile censire ben 4.720 fondazioni attive, di cui il 44,2% localizzato nel Nord-Ovest. Rispetto alla rilevazione del 1999, il numero delle fondazioni è cresciuto di quasi il 57%. Tale crescita pare sia dovuta al processo di privatizzazione delle Istituzioni pubbliche di Assistenza e Beneficenza (Ipab) e alla conseguente trasformazione in fondazione di alcune di esse. Il 78,1% delle fondazioni registra entrate di origine prevalentemente privata. E solamente il 16,5% delle fondazioni censite opera nel settore della cultura.
Pier Luigi Sacco in un’intervista per «Il Giornale delle Fondazioni» parla delle scelte necessarie per la cultura italiana e del ruolo nonché del potenziale delle fondazioni. «Le ragioni che danno conto dell’eccezionalità del peso delle fondazioni nello scenario italiano: la crisi economico-finanziaria che ha ridotto drammaticamente i livelli di spesa pubblica in ambito culturale; la debolezza e l’arretratezza della politica culturale italiana; l’equivoco tutto italiano attorno al tema della valorizzazione, che viene da noi percepito come un possibile fattore trainante dell’economia culturale quando non addirittura dell’economia nel suo complesso».
In realtà gli equivoci sono tanti, non ultimo quello secondo cui le fondazioni possono salvare la cultura italiana altrimenti destinata all’oblio. Molto dipende dal concetto stesso di cultura che bisogna perentoriamente sviscerare da quello di nicchia, settore, élite e cominciare a profonderlo e disseminarlo tra la gente, per le strade, in ogni dove, soprattutto nelle scuole e in maniera nuova, adeguata al periodo storico in cui viviamo.
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In un articolo per «La Repubblica» Alessandro Baricco parla delle sovvenzioni pubbliche alla cultura ma soprattutto elenca una possibile via d’uscita alternativa. «Quando si parla di fondi pubblici alla cultura non si parla di scuola e di televisione. […] Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. […] Che senso ha salvare l’opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi? Cosa vuol dire pagare stagioni di concerti per un Paese in cui non si studia la Storia della musica neanche quando si studia il Romanticismo? […] Chiudete i Teatri Stabili e aprite un teatro in ogni scuola. Azzerate i convegni e pensate a costruire una nuova generazione di insegnanti preparati e ben pagati. Liberatevi delle Fondazioni e delle Case che promuovono la lettura e mettete una trasmissione decente sui libri in prima serata. Abbandonate i cartelloni di musica da camera e con i soldi risparmiati permettiamoci una sera a settimana di tivù che se ne frega dell’Auditel. […] Formare un pubblico consapevole, colto e moderno. E farlo là dove il pubblico è ancora tutto, senza discriminazioni di ceto e di biografia personale: a scuola, innanzitutto, e poi davanti alla televisione. […] Basta con l’ipocrisia delle Associazioni o delle Fondazioni, che non possono produrre utili: come se non fossero utili gli stipendi, e i favori, e le regalie, e l’autopromozione personale, e i piccoli poteri derivati. Abituiamoci ad accettare imprese vere e proprie che producono cultura e profitti economici, e usiamo le risorse pubbliche per metterle in condizione di tenere prezzi bassi e di generare qualità. Dimentichiamoci di fargli pagare le tasse, apriamogli l’accesso al patrimonio immobiliare delle città, alleggeriamo il prezzo del lavoro, costringiamo le banche a politiche di prestito veloce e superagevolate».
Le luci sulle Fondazioni continuano a illuminarle come insegne luminose o fari da palcoscenico ma le ombre permangono. La verità è che un cambiamento è indubbiamente necessario, ma che sia reale e profondo, non un rattoppo per salvare il salvabile bensì una rivoluzione che ponga al centro di tutto il sapere, la conoscenza, il patrimonio italiano e il suo corollario, i giovani, sono loro l’ancora cui aggrapparsi per scansare il pericolo del degrado, dell’abbandono, del dimenticatoio. Bisogna ristabilire i cardini e poi fare in modo che della res publica tutti possano giovarne, indistintamente. Potrà essere la strada indicata da Baricco o un’altra, è uguale, l’importante è smettere di illudersi di riuscire ad assistere a una manifestazione diversa pur lasciando il tutto in mano ai soliti registi.
Non saranno l’unica causa della situazione attuale ma per certo non possono rappresentare neanche l’unica soluzione possibile le Fondazioni o Istituzioni culturali italiane, con le loro luci e anche con le loro ombre.
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