Flavio Caprera: «Con i social media può arrivare il successo di un disco, sono i passaparola di un tempo»
I nostalgici rievocano le musicassette, quelle di cui bisognava talvolta riavvolgere il nastro con la penna. I più appassionati collezionano cd che arredano decine di pareti di librerie IKEA. Gli audiofili di razza acquistano i giradischi di nuova generazione per riassaporare il gusto inconfondibile del buon vecchio vinile. A parlare e a scrivere di musica per anni ci hanno pensato magazine e fanzine, spesso attese in maniera spasmodica da fan e da tutti i comuni fruitori del “prodotto musica”. Ma oggi che le riviste spariscono e che la musica si è fatta “volatile”, scaricabile con un click, che succede alla comunicazione e al giornalismo in questo settore? E quanto hanno pesato internet e i social? Lo abbiamo chiesto a Flavio Caprera, giornalista e critico musicale jazz, autore di Jazz Music e Jazz 101, entrambi editi da Mondadori.
A dicembre 2013 è stato pubblicato l’ultimo numero cartaceo di «La Repubblica XL». La storica rivista di musica classica «Amadeus» è a rischio chiusura, dopo tanti anni di "onorata carriera". Questi sono solo due esempi delle difficoltà che attraversano le riviste del settore musicale: quali sono state le cause che maggiormente l’hanno determinata, secondo te? È solo addebitabile all’avvento del web?
Credo che la crisi delle riviste non sia relegabile solo al settore musicale, ma investe tutti i campi, dalla moda all’arredamento per la casa, allo spettacolo. È dovuta principalmente al calo verticale della pubblicità, alla chiusura di molte edicole e alla capacità di spesa degli italiani che stanno tagliando, a causa della crisi economica, irrimediabilmente quello che ritengono “futile”, in primis libri, riviste, cinema e teatro. Tornando alla domanda specifica, penso che i magazine musicali vivano la stessa situazione delle altre riviste, e in più aggiungerei subiscono il cambio culturale e sociale in atto negli italiani, e cioè lo stare sempre collegati a internet, usare i social network, informarsi usando ogni tipo di device che possa dare la possibilità di sfruttare le potenzialità della rete. Ci si nutre dell’informazione del momento, si ha bisogno di risposte immediate e di facile e breve lettura. Questo le riviste tradizionali non lo fanno. Sono luoghi di approfondimento e talvolta, quando escono, risultano datate rispetto alle informazioni che la rete dà in tempo reale o quasi. Quindi forse il decadimento è dovuto a un mix micidiale fatto di crisi economica e progresso tecnologico.
A proposito di web, come se la passano le riviste musicali on line? Il fenomeno dei blogger e i social media potrebbero essere di supporto a far crescere l’audience?
Io scrivo su un web magazine di jazz, www.jazzconvention.net, e noto che c’è, sia da parte dei musicisti che del pubblico, un seguito interessante. Lo stesso si può dire per www.jazzitalia.it, e i siti di riferimento delle riviste cartacee di Jazzit e Musica Jazz. In quest’ultimo caso credo che il sistema binario tra carta e web funzioni, nel senso che la notizia immediata la leggi sul web e l’approfondimento, con il cd in regalo, sulla carta. C’è da aggiungere che questi media intrecciano il loro agire con i social network, Facebook, Twitter, e i blogger di riferimento, che sono di grande aiuto e supporto nel diffondere la notizia, la recensione, l’intervista o la data del concerto di un musicista. Credo che social network e blog siano diventati necessari nella comunicazione odierna grazie anche agli smartphone e device in generale, che ti permettono di essere sempre “sul pezzo”. I social media, nel nostro caso, sono i “passaparola” di un tempo, quelli che decretavano il successo di un disco o di un libro. Sono la piazza digitale, fondamentale per operatori, musicisti, critici e pubblico.
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Quali caratteristiche dovrebbe avere un giornalista che si occupa di musica? E perché è sempre meno presente nei Tg, tranne che per l’arrivo del Festival di Sanremo?
Credo che un giornalista di musica debba conoscere innanzitutto, non dico approfonditamente, ogni genere musicale perché la globalizzazione ha aperto le porte dei mondi, messo in comunicazione genti, tradizioni e culture che si stanno incontrando, intrecciando e per molti aspetti “introiettando”. Ci sono i generi specifici, diciamo monografici, e poi tante musiche, musicisti che sperimentano e provano a far incontrare generi sulla carta incompatibili per tradizioni e culture. Poi deve andare ai concerti, ascoltare tanta musica, dialogare con i musicisti, studiare tanto ed essere esperto di social network. La musica non va nei Tg perché fa meno audience rispetto a un delitto, alla politica o a corna e divorzi.
Pensi che sia cambiata anche la percezione degli eventi musicali e la fruibilità dei concerti? Che futuro ci aspetta da questo punto di vista?
Internet penso che abbia cambiato anche quello. Non so se in meglio o in peggio per gli operatori del settore. Pensiamo a quello che offre per esempio YouTube. Si ha la possibilità di vedere e ascoltare il concerto via internet su una smart tv gratis. Poi c’è la crisi economica e il prezzo dei biglietti che è molto alto, anche se i big non hanno problemi e fanno sempre il tutto esaurito. Credo che ad essere in difficoltà siano i giovani musicisti, perché gli spazi costano e nessuno dà loro credito a sufficienza, e quelli di qualità, di taglio alto che soffrono dello stesso problema, che in questo caso è dato dalla mancanza di denaro. Poi ci sono episodi sperimentali di successo come accade a Milano nel co-working Indiehub, dove nella sala di registrazione si organizzano dei concerti dal vivo di grande qualità per un pubblico limitato a circa quaranta persone.
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