Festa delle donne: questo Paese non si salverà senza la meritocrazia
Nella ricorrenza della Festa delle donne abbiamo avuto il piacere di conversare con Maria Latella, scrittrice, giornalista, editorialista e blogger de «Il Messaggero», inviata per la politica al «Corriere della Sera», direttrice per sette anni del settimanale «A», autrice e conduttrice di trasmissioni su Skytg24. In questi giorni è uscita per Feltrinelli la sua ultima fatica letteraria, Il potere delle donne. Confessioni e consigli delle ragazze di successo.
L’8 marzo è la Festa delle donne. Pensa sia importante e doveroso onorare questa ricorrenza e con quale spirito festeggerà questa giornata, se la festeggerà, Maria Latella?
Penso che vada celebrata perché è ancora troppo presto per rinunciare a una data così significativa. Ci sono quelli che dicono «l’otto marzo per me è tutti i giorni», banalità di cui io non sono convinta. L’otto marzo deve essere festeggiato e l’ho onorato regolarmente tutti i santi giorni ma in quella data lì va ricordato il concetto che in questo Paese – così come in tutti gli altri Paesi in cui le donne stanno passando dei pessimi momenti – non c’è equilibrio se non c’è armonia tra i generi. Come riconosciamo ai nostri amici e ai nostri colleghi maschi la straordinaria bellezza del lavorare e vivere insieme, così deve essere reciproco.
Il suo nuovo libro si apre sulla figura di Rita Levi Montalcini, illustre scienziata e premio Nobel, scomparsa nel 2012, autorevole quanto “pervasiva” se riferita al mondo femminile. Vuole raccontare ai lettori di «Sul Romanzo» com’è nata l’idea di questo libro e di come ha organizzato i “ritratti” di donne di cui è composto?
Questo libro nasce contro la mia volontà e per colpa di Rita Levi Montalcini, ma l’illustre scienziata – purtroppo scomparsa – non è colpevole di niente. Per diversi anni, dopo che negli anni Novanta si era dato spazio alle soubrette che intervenivano su tutti i temi, dalla scienza alla politica, dopo questo andazzo si è deciso che era il momento di dare spazio a donne autorevoli. Nelle riunioni di redazione, in tutti i giornali in cui ero stata, si svolgeva questo rito: eravamo tutti intorno al tavolo e qualcuno diceva: «Bisognerebbe cercare una donna autorevole». Non veniva in mente niente a nessuno, e c’era sempre il capo redattore che alla fine, esausto e sudato, proponeva: «Si potrebbe cercare Rita Levi Montalcini». Io, stanca del fatto che forse c’era stata e c’era una e solo una donna autorevole, ho pensato che fosse giunto il momento di raccontare anche delle altre. Di farle emergere come role model per le giovani donne che hanno, a questo punto, in Italia, tante figure femminili cui ispirarsi.
Lei ha una figlia di 30 anni e una “stepdaughter” – pure a me piace poco il termine “figliastra” – di 23. Lavora con molte ragazze di quell’età, le Millennials, nate negli anni Ottanta o nei primi Novanta. Quali sono le differenze, anche psicologiche e di “visione del mondo” tra queste ragazze e le “ragazze” della generazione cui lei appartiene? Anche in termini di opportunità e di possibilità di inserimento sociale.
Dico una banalità se affermo che la mia generazione, nata tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, aveva la speranza di veder schiudersi di fronte a sé mille prospettive, comunque di avere un futuro più brillante di quello che poteva immaginare. Non è così per le generazioni nate, ad esempio, nel 1985, nel 1990 e via ad andare. A queste ragazze è dedicato il libro, perché io, realisticamente, prendo atto con loro che si trovano a vivere in una stagione in cui di lavoro ce n’è meno e per certi versi ce n’è meno per le ragazze. Per altri versi, però, c’è la possibilità di esplorare mondi nuovi e in teoria (anche se spesso non è così) ci sono molti meno limiti. Se oggi una dice: «Voglio fare scienziata», come Sandra Savaglio ha fatto – ed è una delle donne che ho intervistato nel mio libro –, è probabile che incontri delle difficoltà ma è anche più probabile che trovi una famiglia che le dica sì, che la supporti. Venti o trent’anni fa una ragazza che volesse fare l’ingegnere aerospaziale non avrebbe avuto grande incoraggiamento dalla famiglia. Io penso che contino gli esempi e che conti il fatto di poter trovare davanti a sé, nei posti di lavoro e nelle università, delle donne che siano loro stesse degli esempi e che siano loro stesse le prime a incoraggiare. Per questo motivo ho scritto questo libro. È un libro di consigli, per chi sta, per esempio, in una riunione mentre gli altri colleghi non ti filano perché sei la più giovane e sei una donna; consigli su come ottenere quel ch’è più giusto nel campo del lavoro e come si bilancia vita familiare e lavoro.
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Nella curiosa galleria de Il potere delle donne ci sono profili di controverse protagoniste della politica e del mondo imprenditoriale. Mi riferisco in particolare a Marine Le Pen (accusata di incitazione all’odio razziale dal Parlamento europeo, per dire), Barbara Berlusconi (una che ha scritto “figlia di papà" sulla maglia: un padre, Silvio, alquanto “ingombrante”) e al ministro Marianna Madia (criticata per le sue “amicizie strategiche”, di recente sotto i riflettori per le sue esternazioni in materia di eutanasia). Quali sono gli aspetti che l’hanno indotta a proporle come role model alle giovani donne?
Prima di tutto perché sono delle trentenni molto note. È molto più facile trovare delle cinquantenni o delle sessantenni con una carriera alle spalle per cui, anche se i loro nomi non sono così noti al grande pubblico, di certo hanno delle caratteristiche che le rendono abbastanza familiari a diverse generazioni di donne. Ma trovare nomi di trentenni che non siano delle cantanti e che, comunque, siano note alle loro coetanee non è così facile. Io conosco Barbara Berlusconi da quando era una ragazzina e le ho chiesto se aveva voglia di raccontarsi sotto il profilo professionale perché questo era quello che mi interessava raccontare di lei. Puoi essere la figlia di Berlusconi, e quindi anche la “figlia di papà” ma se ti prefiggi di fare l’amministratore delegato del Milan devi essere capace di portare risultati, se no sarai la prima fucilata sul campo. Non mi pare che le stiano risparmiando niente. Anche una privilegiata, e forse anche di più una privilegiata, deve dimostrare di saper fare il suo lavoro. Io credo che alle ventenni e alle trentenni italiane per 25 anni abbiamo raccontato solo di show-girl, abbiamo trasmesso il messaggio che devi essere carina e accompagnarti a un amante potente; abbiamo fatto un danno enorme alle nostre ragazze. Io racconto la Berlusconi per il lato professionale; non mi interessa raccontare la sua relazione con Pato o i pettegolezzi. Mi interessa raccontare che tipo di problematiche incontra una ragazza privilegiata che però è anche una giovane madre. Ritengo sia utile per le sue coetanee, soprattutto se, da madre, ha scelto lei di occuparsi dei propri figli e non di avere plotoni di filippine come si sarebbe fatto vent’anni fa. Stesso discorso per Marianna Madia; certo anche lei è una privilegiata: è ministro a 34 anni. È utile per le ragazze italiane sapere che, comunque, si può diventare ministro a quell’età. La Madia ci è riuscita perché conosce un sacco di persone, perché se vivi a Roma è più facile farsi conoscere in determinati circuiti ma, ripeto, dobbiamo finirla di raccontare storie di show-girl.
Scoprendo queste storie di successo al femminile si possono individuare degli elementi comuni: il tempismo, la caparbietà, l’urgenza di superare il “senso di colpa”, di non sentirsi in “serie B”. Un altro grande talento femminile è la spiccata attitudine al multitasking. Svolgere al meglio la propria professione, avanzare e fare carriera; essere al contempo madre, moglie, amante, amica, badante, consigliera e chi più ne ha più ne metta. Come ricomporre i rivoli di questi molteplici aspetti in una unica identità?
Intanto non si può essere tutte le cose che lei ha elencato. Bisogna scegliere. Si può essere una brava professionista, una brava compagna, una buona moglie; si può essere anche una brava madre. Basta. Non c’è tempo per molto altro. Se una pensa di poter fare anche la geisha, l’amante, la crocerossina e quant’altro si racconta delle balle. Va da sé che devi rinunciare a qualcosa. Tutte le persone che ho intervistato per questo libro, da Barbara Berlusconi a Fernanda Contri, da Roberta Pinotti a Frida Giannini raccontano di non aver avuto, per anni, il tempo di andare al cinema finché i bambini erano piccoli, né il tempo di fare un the con le amiche. Io stessa non ho avuto la stagione del the con le amiche, perché lavoravo e avevo una bimba piccola. Perciò a qualcosa devi rinunciare. Punto.
Nel libro racconta di come sua figlia Alice la vedeva da bambina, in un momento particolare della sua vita, tra i trenta e i quaranta, dedita al lavoro di inviata del «Corriere della Sera»: «Sembravi RoboCop. Marciavi guardando davanti a te, senza voltarti». Che ricordo ha di quel periodo? Ha qualche rimpianto o ritiene di aver gestito con la giusta consapevolezza e abilità i suoi impegni di lavoro e il ruolo di madre?
Assolutamente no. Non ho gestito con la giusta consapevolezza quel periodo. Se avessi avuto un libro come questo, se avessi avuto come riferimento delle donne che c’erano già passate e che potevano darmi dei consigli, tutto sarebbe stato più facile e avrei commesso meno errori. Però siamo qui, ce l’abbiamo fatta: oggi ho una figlia di trent’anni ch’è una splendida professionista a Berlino e che essendo molto dedicata e devota al suo lavoro comprende il tempo che la mamma le ha sottratto. Oggi lei mi può capire.
L’Italia, a detta di molti, non sembra essere una “meritocrazia” e questo rende più difficile il cammino delle donne. Mi ha colpito la vicenda di Sandra Savaglio, classe 1967, calabrese, astrofisica, una delle due scienziate italiane alle quali «Time» ha dedicato una copertina. La Savaglio ha una singolare teoria sulla conservazione dell’energia: «[…] Se qui abbiamo il clima, l’arte, la cultura, il cibo, la bellezza, il resto deve andare male perché ci vuole bilanciamento. I valori delle varie forme di energia, cinetica e potenziale, possono cambiare, ma la loro somma si mantiene costante. La somma totale dei valori in Italia o in Finlandia deve darti un risultato uguale se no in Finlandia non ci vivrebbe nessuno». Lei cosa ne pensa? È un buon alibi per il deficit culturale, la mancanza di etica e la cattiva politica del Belpaese?
Io penso che questo Paese non si salverà senza la meritocrazia e, aggiungo, non si salverà se non dà spazio alle donne brave. Non a quelle meno brave, alle donne brave come agli uomini bravi. Purtroppo ritengo che la meritocrazia non sia stata applicata, in Italia, fin dalla fine degli anni Sessanta. C’è molto da recuperare e da trasmettere alle nuove generazioni.
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